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I giochi multipli e la formazione del governo

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Non è stato difficile, utilizzando gli strumenti della teoria dei giochi, profetizzare che nel negoziato tra M5S e Pd, allora a livello di pourparler confidati dai pertinenti gruppi parlamentari, al presidente della Camera, Lilliput (ossia il Pd che dopo avere perso cinque elezioni negli ultimi quattro anni ha avuto risultati scoraggianti anche nelle regionali in Friuli Venezia Giulia) ha sconfitto Gulliver (il M5S uscito primo partito dalle urne il 4 marzo). Ora i giochi multipli si fanno molto più complicati. Lunedì 7 maggio, il Presidente della Repubblica farà un ultimo rapido giro di consultazioni con le delegazioni (grandi e piccole) dei gruppi parlamentari (venti minuti per gruppo) e successivamente – si auspica- darà un incarico a formare un governo.

Dato il numero dei gruppi parlamentari e la molteplicità degli obiettivi di ciascuno di essi, utilizzare la strumentazione della “teoria dei giochi” richiederebbe un algoritmo estremamente complesso e soprattutto dati (principalmente gli obiettivi di ciascuno dei gruppi parlamentari) che, se ci sono, sono nel grembo degli Dei.

Si possono, però, formulare alcune ipotesi estremamente semplificatrici. Alcuni gruppi parlamentari hanno piena consapevolezza della gravità in cui versa l’Italia: ultimi (escludendo la Grecia) nella traballante uscita della crisi mentre una nuova se ne sta avvicinando, con l’urgenza di effettuare una manovra di aggiustamento ai conti pubblici 2018 e di prepararne una più severa per disinnescare l’aumento Iva e fare fronte a varie spese incomprimibili (missioni internazionali, trasferimenti a Inps ed Iva), perdita di peso internazionale nei negoziati europei (governance eurozona) e globali (commercio). Proporranno, quindi, un governo se non di legislatura almeno di alcuni anni per affrontare e risolvere i nodi trascurati negli ultimi anni o non affrontanti con l’efficienza e l’efficacia per avere esiti soddisfacenti.

Altri gruppi parlamentari, invece, hanno meno consapevolezza dei guai in cui è il Paese o hanno perso ogni fiducia nella possibilità di formare una maggioranza parlamentare con gli esiti del voto del 4 marzo; premeranno, quindi, o per un “governo balneare” di vecchio stampo oppure per una soluzione “semi-tecnica”, tipo i governi Dini, Ciampi e Monti, perché si prendano alcune misure essenziali, si faccia una nuova legge elettorale e si vada alle urne sperando in un risultato che prometta maggiore governabilità.

Sono due posizioni estreme, però, legittime e rispettabili. In un gioco contemporaneamente su molteplici tavoli, la seconda ha una più alta probabilità di averla buona sulla prima. È “un’opzione di differimento”, nel gergo della “teoria delle opzioni”. “Differimento” consentirebbe di raccogliere maggiori informazioni e fare scelte più oculate.

Ce lo possiamo permettere? A questa domanda si può rispondere solo pirandellaniamente: Ciascuno a Suo Modo.



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