Assisteremo dunque all’inedito quadretto di candidati in costume da bagno a molestare elettrici ed elettori sulle belle spiagge italiane felicemente neo-insignite di garrule bandiere azzurre (mare pulito, Berlusconi non c’entra)? Le parole dei primi e secondi arrivati in quella gara inutile che è stata il 4 marzo farebbe pensare all’ineluttabilità di questa nuova e “calda” esperienza elettorale. D’altro canto perchè no in estate? Già nel 2013 abbiamo inaugurato l’usanza del voto fuori stagione votando a febbraio, in pieno inverno. E già allora perdemmo un bel grappolo di elettori.
Gli statistici, infatti, hanno sempre raccomandato che alle urne per il voto politico bisogna andarci in primavera, quando si registra la più alta percentuale di combaciamento delle presenze degli aventi diritto al voto con gli elenchi dei residenti: l’Italia è lunga e metereologicamente disomogenea. Salvo che in primavera. Almeno la primavera di una volta. Ma, evidentemente, anche il tempo è cambiato e a maggio butta tempesta. Nelle prossime ore sapremo se la furia del voto prenderà il sopravvento sui residui baluginamenti di ragionevolezza.
Non bisogna contarci troppo, è vero, ma gli argomenti messi sul tavolo da Mattarella sono stringenti e tutti legati all’interesse superiore della nazione: legge di stabilità, legge elettorale, riparo dalle turbolenze dei mercati, pericolo di un azzeramento del nostro ruolo sulla scena europea. In ultimo anche la sottolineatura, densa di garbo istituzionale, della opportunità di offrire un governo “neutrale” diverso da quello in carica, che è espressione della maggioranza della XVII legislatura. Sembra, però, che la nuova grammatica della politica non preveda di prestare un’attenzione al richiamo di Mattarella, scegliendo di far prevalere le ragioni muscolari di un conflitto elettorale infinito (siamo in campagna elettorale dal 28 dicembre 2017, data dello scioglimento delle camere) agli interessi del paese.
In altra stagione un rifiuto al monito di Mattarella sarebbe stato considerato un incidente sgradevole nel galateo istituzionale. Oggi, nella maleducata narrazione che la politica fa ogni giorno di sè stessa, tutto può passare in cavalleria. E così la politica potrebbe, rincorrendo i record negativi, consegnare al Guinnes dei primati la legislatura più breve del mondo: 122 giorni, più o meno, se si andasse a luglio. Ma attenzione ai recordman che hanno l’ambizione di edificare la Terza repubblica: nel ’94 il fondatore della Seconda (Berlusconi) durò solo lo spazio di un paio di mattinate (755 giorni), dopo aver messo il sugello ad una legislatura disgraziata durata lo stesso o poco meno (722 giorni). Insomma, non è affatto detto che andando a votare tra due mesi con questa legge elettorale la nuova legislatura possa avere un destino migliore di quella cui si sta praticando l’eutanasia. Peraltro ancora vietata nell’ordinamento italiano.