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Pyongyang riavvia l’impianto nucleare di Yongbyon

L’annuncio di voler riavviare gli impianti nucleari di Yongbyon è l’ultima in ordine di tempo delle provocazioni nordcoreane. Furono messi a riposo nel 2007 nell’ambito di un accordo per il congelamento del programma nucleare in cambio di aiuti, poi giunto a una fase di stallo, cui l’anno dopo seguì anche l’abbattimento della torre di raffreddamento.

La decisione, recita la nota dell’agenzia ufficiale Knca, si inserisce nell’ambito della politica “di rafforzare la forza armata nucleare tanto in qualità che in quantità” e anche per risolvere “la grave” carenza di energia elettrica nel Paese. Circostanza quest’ultima che, nota Chico Harlan del Washington Post, sarebbe smentita dal fatto che l’impianto non è collegato alla rete.

Il passo sembra invece andare nella direzione della produzione di plutonio per le armi nucleari. Al plutonio erano i due ordigni testati dal regime nel 2006 e nel 2009, mentre per quello fatto esplodere lo scorso 12 febbraio si ipotizza possa essere stato usato uranio arricchito.

I tempi per riavviare l’impianto non sono ancora chiari. La propaganda nordcoreana si è limitata a dire che si andrà avanti senza ritardi. Sempre secondo il Post serviranno almeno cinque mesi. La Cina ha espresso il proprio rammarico per l’annuncio che sembra dare un colpo alle esortazioni di Pechino per la denuclearizzazione della penisola.

Stessa reazione arriva da Seul. La presidentessa sudcoreana, Park Geun-hye, ha parlato oggi della necessità di forme di deterrenza militare e diplomatica affinché i nordcoreani non continuino con le provocazioni. Ieri il capo di Stato aveva invece avvertito il regime di Kim di essere pronta a rispondere con la forza a eventuali attacchi senza fare troppe considerazioni di carattere politico.

Sul rischio che la situazione nella penisola coreana possa degenerare in conflitto i segnali sono contrastanti. Da una parte la stessa Casa Bianca ha ammesso ieri che non ci sono segnali di mobilitazione delle truppe nordcoreane nonostante l’ordine di massima allerta e i toni belligeranti del regime.

Allo stesso tempo, segno che a Washington non si stanno sottovalutando le minacce del regime, il cacciatorpediniere Uss McCain, dotato di tecnologia antimissile Aegis, è stato schierato in Corea del Sud. Una mossa che rimanda alla decisione di portare il numero degli intercettatori in Alaska da 30 a 44 decisa qualche settimana fa. Mentre lo Uss Decatur è dato in rotta verso la penisola coreana e si tengono sotto osservazione le attività nella base missilistica nordcoreana di Tongchang-ri, nell’eventualità di un lancio di cui ancora non si hanno segnali evidenti, ha detto il portavoce del ministero della Difesa sudcoreano, Kim Min-seok. Movimenti di truppe si hanno anche sul lato cinese del confine con la Corea del Nord. Una strategia che indica i timori di Pechino per il rischio di afflusso di profughi in caso di precipitare della situazione.

Gli analisti intanto si interrogano sulla serietà delle minacce di Pyongyang, iniziate con il test nucleare di febbraio e intensificatesi come reazione all’imposizione di nuove sanzioni Onu. Secondo il coreanista russo Andrei Lankov, della Kookmin University di Seul, “sarebbe meglio se il mondo non prestasse troppa attenzione a queste minacce”. I nordcoreani non attaccheranno, ha spiegato lo studioso che già mesi fa aveva previsto la riapertura degli impianti di Yongbyon.

Lo schema tratteggiato e quello già visto in passato, sebbene con alcune differenze: si crea la crisi e dopo si ottiene qualcosa in cambio per risolverla. Le controparti hanno tuttavia capito come funziona, non fanno più concessioni e non danno più soldi, ha spiegato all’emittente australiana Abc. Ma soldi e concessioni sono sattamente ciò che il Pyongyang vuole. Per questo i toni sempre più alti. Sull’eventualità che Kim Jong-un possa passare dalle parole ai fatti Lankov ha una sua teoria. “Ama la vita, ama la moglie. Ama le sue macchine e i suoi giocattoli. Non darà inizio a una guerra che non ha possibilità di vincere”.


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