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Trump annulla il miraggio di “Due Popoli, Due Stati”

Donald Trump è riuscito – a una prima analisi superficiale – a trasformare una scelta giusta in un gigantesco errore. La scelta giusta era ed è di riconoscere che la capitale di Israele (da 2.600 anni, si potrebbe dire) è Gerusalemme e d’altronde nel lontano 1995 il Congresso americano votò appunto il “Jerusalem Embassy Act” che ribadisce questa indiscutibile realtà. Ma il gigantesco errore – sempre a una prima analisi – è quello di concretizzare oggi quella scelta giusta.

La prima ragione è che non si capisce il vantaggio che oggi ne ricavino gli Stati Uniti e la stessa Israele, a meno che non si guardi (e non è una scelta maliziosa) ai sondaggi di gradimento di Trump e dei repubblicani presso l’ampissima fascia degli elettori radicali delle varie chiese protestanti americane che sicuramente apprezzano questa mossa.

La seconda ragione che sconsiglia questa mossa è l’imbarazzo – di più, la paralisi – che essa provoca nei non pochi paesi arabi che stanno costruendo con Israele una alleanza di ferro in funzione anti iraniana (Arabia Saudita e paesi del Golfo – escluso il Qatar – Egitto, Giordania e Marocco) che si preparavano a proporre un nuovo piano di pace alla parte palestinese.

In particolare questa mossa paralizza proprio il più recente e convinto alleato di Israele Mohammed bin Salman, che si è spinto a riconoscere apertamente “il pieno diritto all’esistenza dello Stato di Israele”, come mai, assolutamente mai nessun regnante saudita aveva mai fatto, che si apprestava ad imporre ad Abu Mazen una piattaforma di accordo con Netanyahu dalla quale erano stati tolti i punti più scabrosi, come il “diritto al ritorno” in Israele dei milioni di eredi dei profughi dal 1048 al 1967.

La terza ragione è che questa mossa dà fiato a quella destra israeliana che pretende che Gerusalemme non sia solo la capitale di Israele, ma “solo” la capitale di Israele, escludendo quindi che Gerusalemme Est, che pure formalmente e sostanzialmente è ancora un “Territorio sotto occupazione straniera” diventi mai la capitale di una Stato Palestinese. Infine, ma non per ultimo, questa mossa elimina, mina alle radici, qualsiasi possibilità che gli Usa svolgano d’ora in poi quel ruolo di mediazione che sempre tutti i presidenti americani hanno svolto (ad eccezione di Barack Obama, che ha tentato, ma si è ingarbugliato nelle sue stesse fumosità).

Se però si guardano tutte queste controindicazioni come un unicum compatto, ci si accorge facilmente che in realtà l’errore non è tale, ma è semplicemente un capovolgimento totale di strategia. Donald Trump ha ricercato volutamente di concretizzare tutte queste controindicazioni per una ragione semplice: esse sono tali, sono errori, solo e unicamente nella prospettiva di una trattativa nel solco della tradizione di “Due popoli, due Stati”.

Ma con evidenza, Trump l’ha abbandonata, la ritiene fallita e improponibile e si sposa con l’estremismo del Likud e dell’ala destra dei coloni israeliani nella certezza – non infondata – che il popolo palestinese non riuscirà neanche a unificare se stesso – diviso come è nella componente filo Abu Mazen e in quella di Hamas, l’una contro l’altra armate – e men che meno accetterà mai un compromesso con uno Stato degli Ebrei del quale nega la legittimità anche per profonde motivazioni religiose e coraniche.
Dunque, la nuova ambasciata americana a Gerusalemme è l’inizio di un percorso accidentato verso la prospettiva di “Due Popoli in uno Stato, più due mini governatorati palestinesi instabili”. Questa è la realtà di oggi, conseguenza, va detto, delle scelte demenziali, dal Gran Muftì, sino ad Abu Mazen ed Hamas, passando per Yasser Arafat, della più incapace dirigenza irredentista della storia mondiale, quella palestinese.

Detto questo, ben si comprende perché non abbiamo accennato nel nostro schema di analisi alla pur impressionante strage di 55 palestinesi ai confini di Gaza di questi giorni. Una nostra scelta voluta che deriva da una valutazione obiettiva: solo la follia omicida di Hamas può gettare migliaia di palestinesi nel progetto demenziale e inutile di “invadere” Israele, solo la ferocia della destra israeliana, incarnata dal ministro della Difesa “sovietico” Avigdor Liebermann, può rispondere a questa follia assassina di Hamas non con mezzi di contenimento non letali (idranti, pallottole di gomma, lacrimogeni), ma a suon di sventagliate di mitra. Appunto, l’immagine plastica della incomponibilità, da qui alla fine degli anni, del conflitto israelo-palestinese.


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