La spintarella capace di far sprofondare il mattone italiano nel baratro, se mai arriverà, arriverà dalle banche, non dal mercato. Quest’ultimo è praticamente congelato da almeno due anni, con compravendite tornate dal livello degli anni ’80. La domanda latita e l’offerta tiene i prezzi quanto più possibili fermi. Il calo delle quotazioni, tuttavia, è lento ma costante.
Ma il problema vero è annidato nelle banche, gonfie come non mai di mattone e di crediti legati al mattone. Una circostanza che di sicuro ha aggravato i loro bilanci.
Un dato di Bankitalia, riferito al 2009 ma di sicuro utile a capire quanto pesi l’esposizione bancaria sull’immobiliare, mostra che i finanziamenti al mercato immobiliare (famiglie e imprese) del sistema creditizio pesano 550 miliardi, un terzo degli impieghi totali. Nel 2000 pesavano solo il 20%.
Quindi l’esposizione del sistema creditizio sul mattone è cresciuta del 13% in più in otto anni. Gli anni d’oro del credito bancario facile che adesso il presente e il futuro sono chiamati a scontare.
La Banca d’Italia, in uno degli ultimi bollettini di vigilanza, nota che ”il deterioramento della qualità del credito registrato dalle banche italiane dall’avvio della crisi finanziaria è significativo”. In particolare l’incidenza media dei crediti deteriorati sul totale è passata dal 4,5% di fine 2007 al 12,2% di fine settembre 2012.
Quasi il triplo.
Su un’esposizione immobiliare così importante significa che prima di concedere un mutuo una banca di penserà parecchio.
Bilanci bancari problematici hanno un impatto sistemico sul Paese, questo è evidente. Perciò la Banca d’Italia è intervenuta per fissare alcune regole da osservare nella costruzione dei bilanci futuri, molte delle quali riguardano proprio il trattamento degli immobili, e in particolare di quelli sui quali è stata iscritta un’ipoteca a garanzia di un mutuo.
Nella comunicazione del 15 gennaio 2013, pubblicata il 27 marzo scorso, Bankitalia scrive, ad esempio, che “nel caso degli immobili nel determinare il fair value si può tenere conto del prezzo di presumibile realizzo nell’asta fallimentare”. Che tradotto dal tecnichese significa che le banche dovranno rettificare il valore a libro dell’immobile parametrandolo a quello presumibile in caso di vendita all’asta. Circostanza che si verifica quando il debitore non paga il mutuo.
In pratica un bel taglio netto delle quotazioni attuali.
Tali istruzioni portano con sé una fastidiosa controindicazione: dovendo avere crediti di migliore qualità, le banche dovranno necessariamente chiedere più garanzie, e quindi restringere il credito. “Il deterioramento del credito – scrive ancora la Banca d’Italia – si è accompagnato ad un graduale rafforzamento delle garanzie acquisite a tutela del credito concesso: la percentuale di esposizioni deteriorate coperte da garanzie è passata, nel medesimo arco temporale, dal 42,3 per cento al 50,6 per cento”.
Ricapitoliamo: da una parte le banche concederanno meno credito, ma di qualità migliore. Dall’altra dovranno rettificare i valori degli immobili messi a garanzia dei prestiti, usando come stima il valore a base d’asta fallimentare.
In pratica per il mattone italiano una doppia spinta verso il baratro.
Poi ce n’è una terza.
Oltre ad avere i portafoglio gonfi di prestiti e mutui basati sul mattone, le banche sono pure gonfie di mattone fisico. La ricerca di una migliore qualità degli attivi spinge costantemente le banche verso una valorizzazione di questi immobili. E poiché il mercato non tira, l’unico modo per riuscirci è usare i fondi immobiliari.
E’ di pochi giorni fa la notizia secondo la quale Intesa San Paolo starebbe pensando di cedere cedere un blocco di immobili al fondo Idea Fimit, una sgr del gruppo De Agostini. Il fondo, per la cronaca, fu creato ad hoc nel 2008 in occasione di una precedente operazione tra le due parti con cui Intesa aveva ceduto 850 milioni di asset.
Insomma, il copione è sempre lo stesso: le banche cedono ai fondi immobiliari, molti dei quali sono loro espressioni, il proprio mattone, e magari prestano ai fondi il denaro necessario per l’acquisto. In questo modo le risorse per i mercati dei mutui diminuiscono e il problema si sposta su un altro soggetto – i fondi immobiliari italiani – che ormai sono gli unici che investono sul mattone nostrano nella speranza di tempi migliori.
Insomma, per una serie di questioni, il credito al settore è congelato. Difficile che dalle banche arrivi ossigeno per il mattone. Allo stesso tempo le famiglie, con un livello di crescita del reddito in calo costante, è molto difficile che possano riuscire a generare una quota di risparmio tale da far decollare gli acquisti di nuovo.
Stando così le cose, in assenza per giunta di crescita, il mattone ha solo una possibilità per rilanciarsi: la deflazione.
I prezzi dovranno scendere finché non saranno coerenti con il livello generale dei redditi e con la quantità di credito disponibile.
Se considerate che fatto 100 il livello dei prezzi immobiliari nel 1975, nel 2008 tale indice era arrivato a 1.750 e nel 2012 a 1.500, è chiaro a tutti quanto ampia sia la possibilità che i prezzi scendano ancora.
Secondo voi che succederà?