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La Corea del Nord non vuole autodistruggersi

“Non è intenzione della Corea del Nord arrivare a un punto di rottura. Perpetuare il regime è da sempre il principale obiettivo di Pyongyang e i leader nordcoreani non hanno volontà di autodistruzione. Le forze in capo tra Stati Uniti e Corea del Nord sono troppo sproporzionate” ha spiegato Rosella Ideo, esperta e analista di geopolitica dell’Asia orientale, a colloquio con Formiche.net nel rispondere alla domanda che assilla quanti osservano il crescendo delle tensioni e delle provocazioni nella penisola coreana. Ossia cercare di capire quale sia il gioco del giovane leader Kim Jong-un e dei suoi generali.

Il rischio di attacco nucleare è considerato remoto, c’è invece pericolo che si ripetano incidenti o attacchi come fu a novembre del 2010 il bombardamento sull’isola di Yeongpyong?

Incidenti del genere sono sempre possibili. Più che lungo la zona demilitarizzata, in realtà una delle zone più militarizzate al mondo, il pericolo è che avvengano lungo la linea marittima, dichiarata unilateralmente dalle Nazioni Unite e mai riconosciuta da Pyongyang.

Ma questo, considerato il recente patto tra Seul e Washington che autorizza l’intervento statunitense anche in caso di incidenti minori, non rischia di far precipitare la situazione?

A causa della tensione il rischio è che possano esserci incidenti che scappino poi di mano. Il patto è una forma di deterrenza affinché questo non avvenga. Anche perché come nel caso di Yeongpyong a farne le spese sono i civili. Nel 2010 furono due le vittime tra i civili e due i militari morti.

Perché l’aumento delle tensioni proprio ora? C’è qualche legame con le nomine interne all’apparato nordcoreano, in particolare quella di Pak Pong-ju a primo ministro?

L’atteggiamento bellicoso è dovuto a più fattori. Kim Jong-un ha promesso ai nordcoreani che non avrebbero più dovuto stringere la cinghia. Le sanzioni approvate a marzo, sebbene vogliano colpire le élite, avranno ripercussioni su questo impegno. La promessa è tuttavia ancora valida. Di fronte allo sfoggio di forza dall’esterno, la nomina a premier di questo riformatore a suo tempo epurato dà il segnale della volontà di tenere fede a impegni che Kim non è in grado di mantenere.

Un episodio cui non è stata data troppa attenzione è stata inoltre la decisione dell’Alto Consiglio delle Nazioni Unite per i Diritti Umani di istituire una commissione per investigare sulle sistematiche violazioni e crimini contro l’umanità perpetrate in Corea del Nord. Un’indagine non condotta dagli Stati Uniti, ma da tre esperti asiatici.

Non bisogna poi dimenticare la volontà di testare l’amministrazione di Park Geun-hye in Corea del Sud, prima donna a guidare il Paese. Infine c’è la reazione di Washington e la volontà di escludere ogni dialogo con i nordcoreani se prima non abbandoneranno il programma nucleare. Il ricatto nucleare va avanti dall’inizio degli anni Novanta del secolo scorso, a cominciare fu Kim Il-sung e ancora quando era in vita Kim Jong-il si venne a conoscenza del programma per l’arricchimento dell’uranio da affiancare al plutonio.

Questa strategia non paga più. Se guardiamo agli anni passati, in concomitanza con le annuali esercitazioni congiunte tra statunitensi e sudcoreani, c’è stata sempre una retorica bellicista nordcoreana, sempre però al condizionale: voi attaccate noi reagiremo. Tutto finiva con le esercitazioni. Questa volta l’invio di mezzi come i bombardieri B-2 ha realmente intimorito il regime. Anche per questo la reazione è stata inusuale.

Un primo effetto dell’atteggiamento nordcoreano è stato un dispiegamento di mezzi statunitensi nella regione, che Pechino non gradirà. Come la prenderà la Cina?

Pechino è rimasta l’unico puntello della Corea del Nord in tutti i campi. È stata il suo unico partner economico e scudo diplomatico che ora chiama alla calma tutte le parti in causa. Gli Stati Uniti stanno spostando il grosso delle truppe dal Medio Oriente all’Asia orientale. E la Corea del Nord è un alibi per questa strategia. Basta vedere l’annunciato scudo missilistico a Guam, per difenderla da attacchi con missili a medio raggio. Per quelli a lungo raggio servirà ancora del tempo.

La Cina sa bene che questo è soltanto un alibi. Se la Corea dovesse attaccare sarebbe un atto suicida e sarebbe rasa al suolo. I nuovi equilibri geopolitici erano stati chiariti già nel primo mandato di Obama. La Cina lo sa e la situazione per questo è complicata. D’altra parte gli Stati Uniti hanno sempre considerato il Pacifico come una propria base strategica ed economica, almeno dall’arrivo del commodoro Perry in Giappone nel 1853.


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