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Se il codice appalti ingessa il sistema delle infrastrutture

Di Arturo Cancrini
infrastrutture codice appalti

Il nuovo codice in materia di appalti ha abbandonato il modello del regolamento unico, optando per un sistema attuativo più snello e flessibile, demandando a una pluralità di strumenti normativi e amministrativi. In quest’ambito, un ruolo importante è stato assegnato alle linee-guida, che nella delega e nello schema del codice avevano il compito di disciplinare con maggiore semplicità le regole che nel vecchio codice erano ricomprese nel regolamento.

Nel complesso, il nuovo codice ha previsto 55 atti attuativi che avrebbero dovuto entrare in vigore al massimo entro il primo anno di vita del testo, ma che, a tutt’oggi, per la maggior parte non sono stati ancora emanati.

Questo ritardo è il primo elemento di criticità delle nuove regole, ritardo che si sta dilatando oltre ogni ragionevole limite. Di fatto, il nuovo codice, con tutte le novità che erano state pubblicizzate, non è mai entrato in vigore. Ci si riferisce innanzitutto alla qualificazione delle stazioni appaltanti e all’Albo dei commissari di gara. Si tratta di due temi strategici sui quali il legislatore aveva puntato per garantire un più elevato livello di professionalità delle stazioni appaltanti e una maggiore trasparenza nelle gare con la scelta dei commissari delegata all’Anac. In realtà, a due anni dall’entrata in vigore del codice non è neppure ipotizzabile l’avvio della qualificazione e l’attuazione dell’albo dei commissari.

Ma il nuovo codice non è solo questo. È anche un insieme di regole che stanno di fatto ingessando le Pubbliche amministrazioni che non riescono a bandire gare, ma soprattutto a realizzare lavori. Ci si riferisce innanzitutto alle difficoltà di affidare gli appalti di piccolo importo. Come è noto, l’articolo 36 prevede il ricorso alla procedura negoziata ma, di fatto, quest’ultima, a leggere la luce-guida dell’Anac, è divenuta più complessa di una vera e propria gara e non consente alle stazioni appaltanti di poter rapidamente affidare lavori anche quando l’urgenza lo richiederebbe.

Inoltre, al metodo di valutazione dell’offerta economicamente più vantaggiosa per gli appalti di importo più elevato è stato sostituito il metodo del massimo ribasso, che assegna grande discrezionalità ai commissari di gara che, spesso, non sono capaci o non vogliono esercitarla. Questo, in certi casi, rischia inoltre di accrescere la corruzione invece di eliminarla. Il venir meno dell’appalto integrato, invece, anche se affievolito dal correttivo, ha tolto alle stazioni appaltanti la possibilità di bandire gare pur non disponendo di un progetto esecutivo.

Tale circostanza ha fortemente rallentato la realizzazione di opere pubbliche. Il codice, inoltre, sembra orientato più sul punire che non sul fare. Si pensi al regime delle responsabilità di chi opera nel pubblico e ha il compito di bandire una gara o gestire un contratto. Sul punto, il codice ha fortemente accresciuto il regime sanzionatorio assegnando all’Anac poteri ispettivi molto penetranti e incisivi che, spesso, scoraggiano l’assunzione di provvedimenti anche quando si tratta di atti assolutamente legittimi e necessari. È il caso delle varianti in corso d’opera, che non vengono approvate neppure in presenza di imprevisti effettivamente esistenti per il timore che le circostanze che le legittimerebbero non vengano riconosciute come tali in sede di controllo.

Allo stesso modo, risulta critica l’ampia presenza di regole fortemente punitive del mondo delle imprese. Si pensi alle cause di esclusione dalle gare: oggi è sufficiente l’applicazione di una penale per essere esclusi da una gara o, ancora, alla disciplina del subappalto, fortemente criticata a livello europeo, che penalizza le imprese italiane sottoponendole a vincoli formali defatiganti e ingiustificati.

Particolarmente complesse appaiono inoltre le regole fissate per il partenariato pubblico-privato e per il finanziamento privato di opere pubbliche; da quando è entrato in vigore il codice, il ricorso a tali istituti è stato fortemente ridimensionato.

Non va poi sottaciuta l’incertezza provocata dall’abrogazione “a pezzi” del vecchio codice, che crea difficoltà interpretativa per gli operatori non sempre consapevoli di quali sia la norma vigente. Va inoltre evidenziato che la fase dell’esecuzione è stata totalmente e colpevolmente delegata alla soft law. Tale circostanza, in assenza di un regolamento, pone gli operatori nell’incertezza su quale sia la fonte normativa cui attingere e le regole di volta in volta applicabili.

Vi sono peraltro ampie difficoltà di lettura delle nuove norme, indubbiamente scritte in modo disorganico e affrettato. Ne è testimonianza il fatto che, a pochi mesi dall’entrata in vigore del codice, si è dovuto pubblicare un primo correttivo per i tanti errori grammaticali che la prima stesura aveva accumulato.

A mio giudizio la soluzione più appropriata per uscire dall’impasse potrebbe essere quella di abrogarlo, riscrivendolo per intero in aderenza alle direttive comunitarie, senza ovviamente snaturare la lotta alla corruzione che è, e deve rimanere, l’obiettivo primario della contrattualistica pubblica.


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