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Phisikk du role – Il partito (del popolo) che non c’è

E alla fine il governo fu. A ben vedere la squadra non è assai diversa da quella di domenica scorsa, a parte lo spostamento di Savona al ministero delle Politiche comunitarie, la qual cosa al cittadino comune porrà qualche dubbio: ma come, proprio lui, pietra dello scandalo per le cancellerie e le banche europee chiamato a rappresentarci in Europa? Comunque questo epilogo, il più logico, è stato raggiunto attraverso percorsi tortuosi e, soprattutto, rumorosi. Che non ci hanno fatto bene. Archiviamoli e facciamo gli auguri al governo Conte e a noi tutti.

Un po’ di contabilità dei tempi: dall’avvio della campagna elettorale a seguito dello scioglimento delle Camere, abbiamo consumato inutilmente sei mesi di tempo: un buco nero di più di centonovanta giorni nella storia della Repubblica. Un nulla perfetto. Riempito solo da contumelie, dirette e on line, spot elettorali e apoteosi del talk show, la sublimazione dei Giletti, Travaglio, e corti celesti di polemisti e politici dal viso catodico un tanto al chilo, per tenere alto lo share, l’unica cosa in salita insieme allo spread.

A questo punto la conta dei torti e delle ragioni diventa esercizio raffinato, in una partita tutta urlata al sistema gastrico intestinale piuttosto che a quello neuronale degli elettori. Chiudiamo finalmente pagina e facciamo cominciare la legislatura, facendo partire le commissioni parlamentari e l’attività ordinaria che articola la necessaria dialettica maggioranza-opposizione. La maggioranza difenderà il suo governo. L’opposizione ha l’onere più grande, in Parlamento e nel Paese. Sarà in grado di farlo? Riuscirà a farsi capire dal corpo elettorale?

Sia detto a chiare lettere: c’è un popolo senza partito. Un popolo fatto di ceto medio, di piccole e medie imprese, di reti associative, di lavoratori sindacalizzati, di pensionati, di mondi vitali, di persone normali, insomma, di quelle che pagano le tasse e non chiedono nulla alla politica se non amministrare con decenza la cosa pubblica, di quelle che attingono l’informazione leggendo qualcosa di più che non Facebook e l’improperio sgangherato e vigliacco di qualche blog, e che non si lasciano impressionare troppo dai talk show.

Questo popolo, che ha la consapevolezza del disastro che potrebbe essere la nostra uscita dall’Europa, ma che non rinuncia a rinegoziare in modo più vantaggioso per gli interessi nazionali la nostra appartenenza all’Unione, che avverte l’orgoglio dell’essere nato in un Paese tanto meraviglioso quanto sprecone, che è preoccupato per il destino dei propri figli e nipoti migrati in qualche capitale europea a fare master e coltivare progetti da esuli, questo popolo silenzioso non ha più rappresentanza.

Se proprio vogliamo appiccicargli un’etichetta ideologica potremmo parlare di riformisti, di liberal-democratici, e, se piace il rimando all’esperienza francese, di “area macroniana”. In verità si tratta di persone normali spaventate dall’esplosione dei basic instinct della politica nel tempo corrente, alla ricerca di una proposta credibile fatta da persone credibili, gente che non abbia consumato il suo credito in politica, ma che abbia frequentato la politica in modo costruttivo. Insomma non dilettanti.

Ci sarà tempo per fare una proposta di senso? Non lo so. Mi domando, però, se possiamo fare a meno di provarci senza togliere qualcosa di importante agli italiani.


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