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Quale politica estera per il governo Conte? Risponde Nelli Feroci (Iai)

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Una squadra di governo più equilibrata, ma chiamata ad attuare un contratto di governo che, se applicato alla lettera, appare non sostenibile sotto il profilo della spesa pubblica e del rapporto con l’Europa. Sul fronte della Difesa, il rischio è quello di un passo indietro rispetto alla ripartenza degli investimenti nel settore, mentre con gli Stati Uniti, tra dazi e sanzioni all’Iran, al governo Conte spetta l’arduo compito di destreggiarsi tra una necessaria alleanza e la tutela degli interessi nazionali. Parola di Ferdinando Nelli Feroci, presidente dell’Istituto affari internazionali (Iai), diplomatico di carriera e già rappresentante permanente d’Italia presso l’Unione europea e commissario europeo, intervistato da Formiche.net per capire come il nuovo esecutivo si collocherà nel contesto internazionale, a prescindere dai toni di una campagna elettorale “durata troppo a lungo, anche dopo il 4 marzo”.

Ambasciatore, qual è il suo giudizio sulla compagine di governo, in particolare per quel che riguarda il collocamento internazionale del Paese?

È una formazione migliore rispetto a quella di domenica scorsa, più affidabile per il profilo dei titolari di alcune posizioni chiave. Eppure, le incognite restano numerose, a partire dal presidente del consiglio non eletto e designato da una delle due forze politiche sulla base di un accordo tra i due partiti di maggioranza. Il dubbio riguarda l’autonomia che potrà avere e dunque l’autorevolezza con cui guiderà l’esecutivo come previsto dalla Costituzione. Un’altra incognita riguarda poi le incertezze sul programma di governo, in particolare per il rischio di un aumento esponenziale della spesa pubblica che sarebbe necessario per realizzare le riforme previste. Sulla collocazione internazionale del Paese, non vedo il rischio di drammatiche soluzioni di continuità rispetto al passato. Credo che il nuovo governo rimarrà ancorato al sistema di alleanze e di partenariati consolidato dai precedenti esecutivi e che ne condividerà le priorità.

Ma le posizioni sulla Russia nel contratto di governo non contrastano con quelle della Nato?

Il tema del rapporto con Mosca resta un’incognita. Ma, anche qui, una cosa sono le dichiarazioni fatte in campagna elettorale, un’altra è la responsabilità di governare il Paese all’interno del quadro di alleanze in cui si trova. È assolutamente legittimo che il governo si faccia promotore, all’interno del contesto europeo ed atlantico, di un ripensamento del rapporto con la Russia. Tuttavia, pare velleitario pensare che l’Italia possa revocare o sospendere da sola le sanzioni, anche perché queste sono state adottate in ambito europeo e possono dunque essere revocate, sospese o modificate solo in quel contesto.

E sull’Unione europea? Non ci sono rischi di frizione?

Qualche preoccupazione in questo senso non posso non esprimerla. Se è vero che non vedo il rischio di una rottura sul fronte della complessiva collocazione internazionale del Paese, è altrettanto vero che ci sono rischi sul rapporto con l’Europa, e questo è evidente sia per la narrativa utilizzata in campagna elettorale dalle due forze politiche che sostengono l’esecutivo, ma anche per il programma di governo. Ci sono stati messaggi piuttosto contraddittori, ma poi la squadra dovrà confrontarsi con la responsabilità del governo del Paese, e credo che certe asperità polemiche verranno ridimensionate poiché prevarrà il buon senso e la convinzione che i nostri interessi nazionali sono legati all’Europa.

Cosa la preoccupa del rapporto con l’Europa?

Nel caso in cui venisse applicato alla lettera il contratto, comporterebbe uno sforamento molto significativo dei livelli di deficit e debito pubblico al cui controllo ci siamo impegnati nell’ambito di regole condivise. È lì che si vedrà  come vorrà posizionarsi il governo. Misure di riforma da parte del un governo sono legittime, ma alcune (come flat tax e reddito di cittadinanza) sono in contraddizione tra loro e richiedono, in ogni caso, idonea copertura. Farlo a deficit sarebbe molto pericoloso non solo per il rapporto con l’Europa, ma anche per il messaggio che si darebbe  a chi deve investire in titoli di debito pubblico italiano. L’impatto sulla sostenibilità del debito sarebbe evidente  e rifinanziare il nostro debito pubblico diventerebbe molto più oneroso.

In tal senso, la scelta di Enzo Moavero Milanesi per la Farnesina può essere considerata un bilanciamento rispetto alla figura di Paolo Savona, che andrà agli Affari europei dopo il veto all’Economia proprio per posizioni euro-scettiche?

Penso che sia proprio questa la corretta chiave di lettura. Si tratta di una scelta ineccepibile sotto il profilo del messaggio di rassicurazione che invia ai partner europei. Comunque, è bene evidenziare che il ruolo di Paolo Savona nella compagine di governo è tutto da definire e da verificare. Il ministro per gli Affari europei è una figura “a soffietto”: potrebbe avere deleghe pesanti o molto più leggere. Ciò dipenderà dalla distribuzione delle competenze che verrà definita dal presidente del Consiglio. Sicuramente, sarebbe stata più inquietante la sua presenza al ministero dell’economia proprio in virtù di prese di posizione, rese pubbliche, su un’ipotesi di piano B sull’uscita dall’euro. Oggi, gestire il rapporto con l’Europa anche sotto il profilo di riforma della governance dell’Eurozona sarà responsabilità del presidente del Consiglio e del ministro dell’Economia e delle Finanze.

Passando ai temi della difesa, alcuni esperti del settore concordano sul fatto che l’attuazione del Libro Bianco debba essere la priorità del nuovo ministro Elisabetta Trenta. È d’accordo?

Sicuramente il Libro bianco per la difesa e la sicurezza nazionale è un impegno importante, che indica una serie di misure che mi auguro possano essere seguite. Sul fronte della difesa, vedo comunque due problemi. Primo, la nostra proiezione internazionale in termini di partecipazione alle missioni all’estero. Su questo c’è un lunga traccia di posizioni critiche assunte delle forze politiche che ora formano il governo, e dunque non sarei sorpreso se il nuovo esecutivo decidesse di ridurre la presenza italiana nelle missioni militari internazionali. Anche in questo caso, si tratterebbe di una scelta legittima, ma che non potrà non avere un impatto sulla credibilità del Paese nei vari consessi internazionali, a partire dall’Alleanza Atlantica. Secondo, il tema delle spesa per la difesa. Assisteremo, come avviene ormai da tempo, a pressioni sempre più insistenti da parte americana e temo che, nel frattempo, ci sarà ancora meno margine di prima per aumentare gli investimenti nel settore. Temo, infatti, che gli aumenti della spesa pubblica necessaria per finanziare le riforme che figurano nel programma di governo limiteranno la possibilità di aumentare le risorse per le difesa.

Tra una settimana il nuovo ministro della Difesa farà il suo debutto a Bruxelles tra i colleghi della Nato. Poi, a luglio, ci sarà il Summit dei capi di Stato e di governo. Come ci presenteremo?

Non conosco nel dettaglio l’agenda della ministeriale e ho un’idea vaga del Summit di luglio. Ad ogni modo, vedo due punti problematici e possibili: il primo, già evidenziato prima, riguarda le spese per la difesa. Il secondo è invece relativo al rapporto con la Russia. Su questo dovremo stare attenti a non dare l’idea di abbandonare la solidarietà atlantica. Sappiamo esattamente qual’è la linea dell’Alleanza e dovremo gestire il dossier con accortezza per non dare l’impressione di essere dei free rider. Piuttosto, dovremo insistere per aumentare la presenza della Nato sul fronte meridionale.

Sempre sulla difesa, ha invece stupito l’assenza del progetto di integrazione europea nel contratto di governo. Eppure il tema è in forte evoluzione e proprio in questi mesi si discutono le diverse iniziative, dal Fondo europeo per la Difesa ai nuovi progetti Pesco. Rischiamo di essere disattenti e di perdere posizioni?

Mancano tantissime cose nel contratto di governo, soprattutto nel capitolo dedicato all’Europa, impostato in termini difensivi e molto poco propositivi. Come detto, mi auguro che dopo l’insediamento il governo possa cambiare le proprie posizioni. D’altronde, la Difesa europea offre opportunità e prospettive su cui l’Italia non può non impegnarsi. Si parla di nuovi strumenti finanziari per il sostegno a  progetti industriali di enorme interesse per la nostra industria. Spero che, passata una campagna elettorale durata troppo a lungo, anche dopo il voto, si possa passare veramente ai dossier su cui il governo si dovrà applicare.

Cosa si aspetta dai partner europei sul nuovo governo? Alcune uscite da Bruxelles sembrano essere state infelici.

Mi auguro che prevalga un atteggiamento di prudenza e rispetto. Auspico che si lasci al governo il tempo di iniziare a lavorare e che lo si giudichi dalle cose concrete. Non c’è niente di peggio che il fuoco di sbarramento rappresentato da dichiarazioni preventivamente negative che non farebbero che irrigidire forze politiche che non hanno tanta esperienza di governo nazionale e che potrebbero arroccarsi su posizioni più rigide. Mi auguro dunque che ci sia una posizione di apertura per un rapporto di collaborazione e spirito di amicizia che abbiamo sempre avuto con gli alleati europei e atlantici.

Lo stesso vale per gli Stati Uniti?

Gli Stati Uniti rappresentano ad ora un grosso problema per noi, come conseguenza di alcune decisioni da parte di Washington che vanno a impattare negativamente sugli interessi degli italiani, e in particolare sugli interessi dell’elettorato della Lega, cioè le imprese italiane che potrebbero essere colpite dai dazi americani e dalla guerra commerciale che potrebbe innescarsi. Inoltre, la concreta possibilità che le sanzioni all’Iran si estendano a banche e società non americane che investono nel Paese va a toccare l’interesse nazionale italiano. Sarà dunque difficile per il nuovo governo destreggiarsi tra il rapporto con l’alleato statunitense e l’interesse nazionale, elementi che in questo caso non coincidono.


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