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Perché Luigi Di Maio ha vinto ed è entrato nel mirino, anche amico

Alla fine Luigi Di Maio è riuscito nel suo obiettivo. Ha rinunciato a Palazzo Chigi per sé ma ha portato il Movimento al governo. E dopo aver dato l’impressione di subire la capacità politica volitiva di Matteo Salvini, all’ultimo giro ha saputo fare la differenza “piegando” l’alleato-amico e costringendolo di fatto ad una mediazione.

Il ruolo di vicepremier e ministro doppio su materie sensibilissime come lavoro e sviluppo economico lo pongono infine in una posizione non facile ma certamente rilevante negli equilibri anche economici del Paese. La lunga coda degli adulatori nei giardini del Quirinale alla festa della Repubblica è la prova provata dell’attenzione che ora gli è riservata (e che, diciamolo, si è guadagnato).

Il governo, come sanno bene tutti i suoi predecessori, non è mai una passeggiata fra rose e fiori. Sono le spine infatti a segnare un percorso che è sempre ed inevitabilmente accidentato. Non basterebbe tutta Wikipedia per raccontare tutti gli aneddoti e le cronache che spiegano come il fuoco più temibile (e anche più violento) sia quello che proviene dalle file “interne”, dal proprio fronte stesso.

Durante i quasi tre mesi di “gestazione” che hanno portato al giuramento davanti al Capo dello Stato, Luigi Di Maio ha avuto modo di saggiare le manovre tutte interne al Movimento che, consapevolmente o meno, hanno reso più complicata la sua guida. Quello che ha visto è ancora nulla rispetto agli attacchi che più in generale è destinato a ricevere in futuro, lui come tutti ma un po’ di più considerata la sua leadership.

Un nuovo assaggio del divertente “massaggio mediatico” l’ha riscontrato nella lettura del Fatto Quotidiano che ha dedicato l’intera terza pagina a colui che potrebbe essere il suo capo di gabinetto. Trattato come il mostro di Firenze, il prescelto è stato crocifisso nonostante le prove evidenti dei suoi comportamenti corretti. E comunque perché dedicare tanto spazio, e in quel modo, ad un burocrate peraltro sposando le tesi di un renziano eterodosso come Calenda?

Un dirigente pubblico, per quanto importante, non può essere l’obiettivo di tanta attenzione. Infatti nel mirino c’è lui, il neo ministro. I suoi avversari naturali (come lo stesso Calenda, comprensibilmente) ma anche i simpatizzanti (ad esempio Travaglio) hanno finalità diverse ma convergenti. Il capo politico del M5S dovrà gestire dossier delicati per il futuro del Paese ma anche per gli equilibri di potere italiani. Non è un caso che Ferruccio De Bortoli sul Corriere non citi solo le scelte cruciali su Cdp ma indichi anche Invitalia che è una societa proprio del Mise. Il riferimento non è affatto casuale. Di Maio dovrà governare ma senza mai smettere di fare lo slalom fra paletti veri ed altri pretestuosi. È il prezzo della vittoria.



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