Dallo scorso luglio gli sbarchi di migranti sulle coste italiane si sono significativamente ridotti, ma l’Italia e l’Europa sono ancora alle prese con le conseguenze dell’arrivo di quasi 2 milioni di migranti lungo rotte irregolari negli ultimi cinque anni. Il sistema di accoglienza italiano rimane sotto pressione, gli altri governi Ue continuano a dimostrarsi poco solidali, e l’integrazione di rifugiati e richiedenti asilo resta una sfida.
Questo secondo Fact Checking (che integra e aggiorna quello dello scorso anno) fa il punto sulla questione migranti, cercando di fornire informazioni e spunti di riflessione fondati il più possibile su dati oggettivi.
Calo degli arrivi: continuerà? Dipende
Nei primi quattro mesi del 2018 sono sbarcati in Italia circa 9.300 migranti, il 75% in meno rispetto allo stesso periodo del 2017. Si tratta di un trend del tutto in linea con il calo verificatosi negli ultimi sei mesi del 2017 (-75% rispetto allo stesso periodo del 2016). I dati relativi ai primi mesi dell’anno (quelli invernali) risultano tuttavia poco indicativi del livello dei flussi nei mesi successivi. Gli sbarchi iniziano a crescere solo da aprile e raggiungono un picco tra giugno e agosto, seguendo un tipico trend stagionale.
L’andamento degli sbarchi nel mese di aprile può dunque essere considerato un primo segnale di quanti arrivi potrebbero essere registrati nel corso di tutto l’anno. Particolare attenzione meritano, al riguardo, gli avvenimenti di metà aprile, quando in quattro giorni sono sbarcate 1.500 persone.
È comunque necessaria un’ulteriore dose di prudenza, perché ai trend stagionali si affiancano anche le decisioni e le politiche degli attori coinvolti lungo la rotta. Il 2017 lo dimostra: fino al 15 luglio dell’anno scorso gli sbarchi sulle coste italiane erano stati circa il 30% in più rispetto al 2016, e proprio da metà luglio, nel periodo dell’anno in cui solitamente si registrano più arrivi, è iniziato il calo degli sbarchi che prosegue a tutt’oggi.
Calo degli arrivi: il sistema d’asilo è più sostenibile? Sì, ma
Il numero di richieste d’asilo in Italia è aumentato molto dal 2014 fino alla prima metà del 2017, mettendo sotto forte pressione il sistema d’asilo del nostro paese. Dalla seconda metà del 2017, invece, il gap tra le richieste d’asilo presentate e quelle esaminate ha iniziato a chiudersi. Ciò tuttavia non è dovuto a una maggior numero di richieste esaminate, fermo a circa 7.000 al mese da metà 2015, bensì a un netto calo delle domande d’asilo presentate (collegato al calo degli sbarchi avvenuto nello stesso periodo).
Inoltre, i costanti deficit mensili tra domande presentate ed esaminate hanno portato a un significativo accumulo delle richieste d’asilo ancora da evadere: se a gennaio 2014 queste ultime erano meno di 15.000, a inizio 2018 sfioravano le 150.000.
Continuando a esaminare le richieste agli stessi ritmi del 2017, l’Italia avrebbe bisogno di più di un anno e mezzo senza sbarchi per dare una risposta a tutti i richiedenti asilo. E se all’apparenza la situazione potrebbe sembrare simile a quella che sta vivendo la Germania, che nel 2017 impiegava in media 15 mesi per valutare le richieste d’asilo, in realtà la situazione tra i due paesi è completamente diversa. Ogni mese, infatti, il sistema d’asilo tedesco riesce a valutare ben 50.000 domande d’asilo rispetto alle 7.000 italiane.
Calo degli arrivi: meno morti in mare? Sì
Il calo delle partenze ha ridotto drasticamente il numero assoluto di persone che perde la vita durante la traversata: se la frequenza delle morti in mare dei primi sette mesi dell’anno scorso fosse rimasta invariata nella restante parte del 2017, a fine anno si sarebbero registrate 4.155 morti – un livello comparabile a quello degli anni precedenti. Al contrario, se la frequenza delle morti in mare nei nove mesi successivi al calo degli sbarchi restasse costante per altri tre mesi, si registrerebbero circa 1.250 morti in un anno: una riduzione del 70%.
L’Organizzazione mondiale per le migrazioni ha tuttavia fatto notare come, tra gennaio e marzo 2018, il già alto rischio della traversata lungo la rotta del Mediterraneo Centrale sia quasi raddoppiato rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente (dal 3,3% al 5,8%). Ma in realtà questo aumento sembra dipendere più dalle condizioni meteorologiche invernali e da singoli casi “eccezionali” che dagli avvenimenti e dalle politiche alla base del calo degli sbarchi. Infatti, estendendo il confronto all’intero periodo del calo degli sbarchi (16 luglio 2017 – 30 aprile 2018) e confrontandolo con lo stesso periodo dell’anno precedente si nota sì un incremento, ma molto meno significativo: dal 2,6% al 3,0%.
Ong: è vero che sono i “taxi del mare”? No
È logico attendersi che la maggiore incidenza di salvataggi in mare da parte di imbarcazioni delle Ong (passata dal 1% del 2014 al 41% nel 2017), assieme alla tendenza di queste ultime a operare nei pressi delle acque territoriali libiche (come rilevato dall’agenzia europea Frontex), possano aver spinto un maggior numero di migranti a partire, aumentando di conseguenza il numero di sbarchi.
Ma i dati in realtà mostrano che non esiste una correlazione tra le attività di soccorso in mare svolte dalle Ong e gli sbarchi sulle coste italiane. A determinare il numero di partenze tra il 2015 e oggi sembrano essere stati dunque altri fattori, tra cui per esempio le attività dei trafficanti sulla costa e la “domanda” di servizi di trasporto da parte dei migranti nelle diverse località libiche.
Accoglienza: un sistema ancora in emergenza? Sì
Negli ultimi quattro anni gli sbarchi in Italia sono aumentati e, di conseguenza, altrettanto hanno fatto le richieste d’asilo. Il Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (SPRAR) è stato creato già 16 anni fa con lo scopo di offrire “progetti di accoglienza integrata”, gestiti dalle associazioni del terzo settore in collaborazione con gli enti locali.
Sempre più spesso (da ultimo nel Piano Nazionale d’Integrazione) il Governo ribadisce l’obiettivo di rendere lo SPRAR l’unico sistema per gestire la seconda accoglienza (ovvero dopo la prima accoglienza al momento dello sbarco), rimpiazzando i posti dei Centri di accoglienza straordinaria (CAS) amministrati a livello nazionale. La ratio è quella di fornire servizi il più possibile tagliati su misura della persona e vicini al territorio, così da massimizzare le opportunità di integrazione.
Nel corso degli anni i posti a disposizione del sistema SPRAR sono effettivamente aumentati, e in misura consistente: da meno di 4.000 nel 2012 a circa 25.000 nel 2017. Tuttavia in termini assoluti il sistema è ancora lontano dall’offrire un numero sufficiente di posti rispetto alle richieste d’asilo. Nel 2017, infatti, l’86% dei richiedenti asilo e rifugiati accolti dal sistema di emergenza e di prima accoglienza si trovava in strutture non SPRAR.
Inoltre tra il 2014 e il 2017 il gap tra migranti accolti nei centri temporanei o di emergenza e quelli accolti nella rete SPRAR ha continuato a crescere. Se nel 2014 circa un migrante su 3 era ospitato nelle strutture SPRAR, adesso la proporzione è di uno su 7.
(Elena Corradi, Research Trainee, Programma Migrazioni, Matteo Villa, Research Fellow, Programma Migrazioni, Antonio Villafranca, Research Coordinator, Co-Head Osservatorio Europa e Governance Globale)
(La pubblicazione integrale è possibile leggerla qui)