Ha resistito all’affondamento della corvetta Cheonan e alla morte di 46 marinai sudcoreani a marzo del 2010. Ha resistito al bombardamento nordcoreano sull’isola di Yeongpyong, che fece quattro morti, due dei quali civili, nel novembre dello stesso anno. Ed è sopravvissuta alla linea di intransigenza verso il regime dell’ex presidente sudcoreano Lee Myung-bak, ancora oggi bersaglio chiamato per nome dalla propaganda dei Kim, mentre per l’attuale capo di Stato, Park Geun-hye, si parla soltanto di forze conservatrici. Il complesso industriale congiunto di Kaesong è stato uno dei risultati della politica di distensione tra le due Coree dell’inizio degli anni 2000. Per questo la decisione del regime di sospendere temporaneamente le attività nell’area è stata accolta come una minaccia reale nel mezzo delle tensioni delle ultime settimane tra le Coree.
“Politica del sole che splende riposa in pace”, ha scritto su Facebook il coreanista russo Leonid Petrov, della Australian National University riferendosi alle aperture degli anni a cavallo tra il 1998 e il 2003. Pyongyang ha motivato la decisione accusando Seul di aver trasformato il complesso in un punto di frizione tra i due Paesi, insinuando che sia per il regime una delle poche fonti per procurarsi valuta estera e di aver paventato il rischio che, con la chiusura degli accessi al sito, i sudcoreani ancora presenti potessero diventare ostaggi.
Al momento sono circa 500 quelli ancora dentro. Indiscrezioni di stampa, non confermate, dicono che abbiano ricevuto l’ordine di andarsene entro mercoledì. Ossia entro il 10 aprile, data che in questi giorni è tornata spesso nella retorica del regime. Nei giorni scorsi il regime ha avvisato le ambasciate straniere di non essere in grado garantire la sicurezza del personale diplomatico da quel giorno. Il 10 aprile è anche la data attorno a cui si ritiene Pyongyang potrebbe effettuare un test missilistico.
Nel utlimo anno la produzione a Kaesong aveva toccato i 470 milioni di dollari, in aumento del 17 per cento rispetto all’anno precedente. La sospensione della attività è state definita un gesto ingiustificato dal governo di Seul che vuole mettere i nordcoreani davanti alle proprie responsabilità. Senza operai -sono 53mila i nordcoreani che lavorano nel complesso- per le 123 società sudcoreane dell’area industriale sarà impossibile continuare le produzione. C’è inoltre preoccupazione per i sudcoreani ancora nel complesso.
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