Grazie all’autorizzazione dell’editore, pubblichiamo l’articolo di Edoardo Narduzzi apparso sul quotidiano Italia Oggi diretto da Pierluigi Magnaschi.
Lo stallo della politica a livello nazionale spinge ad analizzare le strategie di governo degli altri attori istituzionali. L’esecutivo, infatti, difficilmente nascerà prima di due altre settimane di passione “consultativa”, così l’Italia deve affrontare i marosi della globalizzazione e le spinte dell’eurozona senza alcun capitano al timone della nave.
Lombardia e Lazio
Lo scorso febbraio il voto ha interessato anche le due più importanti regioni in termini di pil annuo. Lombardia e Lazio, insieme, rappresentano circa il 32% della ricchezza italiana ed esprimono la quota più importante dell’Irap. A differenza del governo nazionale, le giunte si sono già insediate e sono entrambe operative. Il loro agire interessa anche mercati ed investitori che possono, analizzandolo, trarre informazioni utili per interpretare il valore del rischio effettivo della crisi italiana.
Il confronto tra l’azione di Maroni e quella di Zingaretti
I primi passi dei due governatori appaiono abbastanza diversi. Se il governatore della Lombardia, Roberto Maroni, non ha perso tempo e ha già varato un pacchetto di interventi per le imprese lombarde per complessivi 1,1 miliardi di euro per sbloccare i pagamenti arretrati e favorire gli investimenti in ricerca e in innovazione, la giunta del Lazio è ancora ai prolegomeni della concretezza gestionale. Quella governata da Nicola Zingaretti è la regione emblema della cattiva programmazione finanziaria con 12 miliardi di euro di debito accumulato soltanto nella sanità. Dei 90 miliardi di debiti che la p.a. italiana deve ai suoi fornitori un buon 15% è imputabile esclusivamente alla regione Lazio. Una vergogna nazionale, se si pensa che il Lazio è la regione della capitale di un Paese ancora membro a pieno titolo del G7.
La concertazione che allunga i tempi
Maroni è stato un buon ministro e ha fatto una battaglia aperta e rischiando in prima persona per la segreteria della Lega. Eletto governatore si comporta secondo i dettami della contemporaneità politica: dà impulso in prima persona alla politica di governo e decide senza perder tempo in novecentesche concertazioni. Zingaretti, invece, nasce come funzionario del Pci. Pur avendo tutte i numeri per agire da moderno governante, appare ancora condizionato dalla tradizione dell’ascoltare tutti prima di decidere. La Cgil, le coop, le espressioni più o meno importanti della storia della sinistra rientrano a pieno titolo nella metodologia culturale dell’azione di governo zingarettiano. Concertazioni che allungano i tempi delle decisioni e depotenziano l’impatto delle possibili riforme. L’opposto di quello che serve al Lazio sul ciglio del default.
La necessità di avere governatori decisionisti
L’Italia in stallo politico ha bisogno di governatori decisionisti, pronti a mettere la faccia su sfidanti risultati da conseguire. L’epoca dei tavoli, grandi a piacere, con ogni tipo di sigla seduta intorno è già parte della storia.