Sono gli stranieri in Corea del Sud l’ultimo obiettivo della guerra psicologica nordcoreana. Nell’eventualità che scoppi un conflitto, il regime li esorta a lasciare il Paese e dice a tutte le organizzazioni straniere, le imprese e i turisti, di mettere a punto misure per l’evacuazione.
La nota del Comitato nordcoreano per la Pace nella regione dell’Asia e e del Pacifico è stata affidata all’agenzia ufficiale Knca. Data la notizia, la programmazione delle televisioni sudcoreane è ripresa normalmente. L’avvertimento è sulla falsa riga di quello della scorsa settimana alle ambasciate straniere a Pyongyang di far rimpatriare il personale perché se guerra ci dovesse essere il regime non sarebbe in grado di garantire la sicurezza dei diplomatici. Una richiesta che al momento non sembra aver dato frutti.
Anche l’ambasciata statunitense a Seul, scrive su twitter il corrispondente del Washington Post, Chico Harlan, fa sapere che al momento non ci sono segnali di pericolo imminente per i cittadini Usa.
Che le minacce non siano sottovalutate lo dimostra comunque la decisione del governo nipponico di schierare nel Mar del Giappone cacciatorpedinieri Aegis, dotati di intercettatori di missili, e batterie di Patriot a difesa di Tokyo.
Intanto un richiamo affinché il Nord la smetta con le provocazioni è arrivato dal segretario generale della Nato, Anders Fogh Rasmussen. E giovedì Ban Ki-moon, anche lui sudcoreano, sarà alla Casa Bianca per colloqui con il presidente statunitense Barack Obama, mentre da Seul arriva la richiesta affinché sia proprio il segretario generale delle Nazioni Unite a giocare un ruolo di mediazione con Pyongyang.
Sul versante di Kaesong oggi si è invece registrata la prima giornata senza lavoratori nordcoreani nel complesso industriale congiunto. Nell’area rimangono ancora circa 400 sudcoreani, per la maggior parte dirigenti delle aziende. L’associazione che riunisce i proprietari delle società ha intenzione di chiedere un incontro con i rappresentati di Pyongyang.
Senza il lavoro dei 53mila nordcoreani la produzione e ferma e le piccole e medie aziende rischiano la bancarotta. Un colpo non soltanto per i sudcoreani ma anche per Pyongyang che vedrebbe cadere i propositi di attrarre joint-venture e investimenti nelle zone economiche speciali. Gli investitori, ricorda la presidentessa sudcoreana Park Geun-hye, sarebbero infatti spaventati dall’atteggiamento di Kim e dei suoi generali.