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Caro Cottarelli, sugli investimenti pubblici ha ragione Tria. Parola di Fmi

L’economia politica degli investimenti pubblici è materia complessa e controversa, e le opinioni divergenti dipendono da una serie di ragioni che hanno a che fare più con la dinamica delle alleanze politiche e con la ideologia della funzione pubblica che con la teoria economica e l’evidenza empirica.

La spesa del governo in conto capitale è quanto rimane delle decisioni discrezionali di un governo in materia di politica economica. Essa manca di clientele influenti che ne dipendono direttamente (a parte le generazioni future che non possono pronunziarsi a riguardo) ed è quindi la più vulnerabile alle pressioni del consolidamento fiscale. Questo, a sua volta, si sta evolvendo da una comprensibile cautela nella gestione delle finanze pubbliche in una sorta di nuova filosofia dello stato che eleva lo strumento della disciplina fiscale a fine principale dell’azione del governo, attribuendo ai tagli di spesa un’azione taumaturgica rispetto a una tendenza intrinseca all’obesità del settore pubblico (uno degli slogan dei consolidatori  è che bisogna “affamare la bestia” ). Di fronte ai moniti e alle prese di posizione di questi giorni, è bene quindi cercare di fare un minimo di chiarezza sui fondamenti teorici e la evidenza empirica (che pure esistono) a favore di una politica vigorosa di investimenti pubblici.

Partiamo dalla teoria economica, secondo cui agli investimenti pubblici sono associabili quattro effetti distinti, che è bene illustrare con qualche dettaglio per evitare le confusioni tipiche del dibattito sulla spesa pubblica e sui deficit di bilancio.

Il primo effetto verifica nel cosiddetto “periodo di costruzione”, in cui la spesa per realizzare l’investimento consiste in beni capitali (macchine e impianti), prodotti intermedi e lavoro. In questa fase, l’effetto dell’investimento si dispiega sulla domanda attraverso la creazione di redditi da lavoro e l’acquisto di beni e servizi. L’espansione dei consumi direttamente e indirettamente legata all’investimento ne determina quello che viene in genere chiamato “moltiplicatore”, effetto particolarmente importante nei periodi di recessione o di crescita lenta.

Il secondo effetto, generalmente più ampio e quindi più importante, si verifica successivamente, nel cosiddetto “periodo di regime”, ossia quando l’investimento è completato e determina un aumento della capacità produttiva delle infrastrutture realizzate o di altri beni pubblici messi in esercizio. Questo effetto (se l’investimento è stato correttamente programmato) è sempre maggiore della spesa sostenuta dal Governo per la sua realizzazione (incluso il suo costo finanziario). Qualunque investimento in grado di superare il vaglio di un’analisi costi-benefici economica e finanziaria rigorosa, indipendentemente da moltiplicatori più o meno controversi, si ripaga sempre da solo.

Il terzo effetto, anch’esso di natura moltiplicativa, è il cosiddetto “crowding in”, che scaturisce dal fatto che gli imprenditori privati, in presenza di infrastrutture più efficienti, espandono a loro volta i loro investimenti determinando ulteriori effetti positivi (spillover) sia sulla domanda che sull’offerta.

L’ultimo effetto, spesso trascurato, è legato alla relazione esistente tra lo stock di capitale pubblico e la crescita dell’economia. La creazione di ricchezza di un Paese, infatti, consiste nella somma dei consumi correnti e dell’incremento dello stock di capitale (il potenziale di consumi futuri). Se lo stock di capitale pubblico scende sotto il suo livello ottimale, si crea un deficit reale e, col passare del tempo, un debito altrettanto reale, che viene trasmesso alle generazioni future. E questo debito non è meno importante di quello fiscale, anche perché tende ad aggravarlo riducendo le capacità del Paese di far fronte ai suoi impegni (proprio per la mancanza di un’adeguata dotazione di capitale pubblico).

Analizziamo ora l’evidenza empirica relativa agli effetti degli investimenti pubblici. La letteratura scientifica a riguardo è copiosa e testimonia in generale di effetti ampiamenti positivi. Per essere più specifici, tuttavia, si può citare un recente documento ufficiale del Fondo Monetario Internazionale (il World Economic Outlook del 2014). Questo documento è importante perché  esprime una presa di posizione ufficiale di una delle più autorevoli istituzioni internazionali in materia di politica economica e allo stesso tempo ne sostiene le ragioni attraverso una dettagliata analisi dell’impatto macroeconomico degli shock di investimento pubblico in 189 Paesi (di cui 36 c.d. economie avanzate) utilizzando tecniche sofisticate di analisi dei dati e di modellistica economica.

Nell’approccio adottato dall’Fmi, gli effetti degli investimenti pubblici sono identificati stimando l’impatto degli incrementi non previsti tra nel rapporto tra spesa pubblica e Pil (per ogni anno e per ciascun Paese). Questo approccio recepisce la metodologia più rigorosa disponibile dello stato dell’arte econometrico e consente di eliminare il problema della cosiddetta lungimiranza fiscale, ossia delle anticipazioni delle politiche del governo da parte degli operatori.

I risultati dell’analisi mostrano chiaramente che gli shock di investimento pubblico hanno effetti statisticamente significativi, positivi e duraturi sulla produzione e sui redditi. In particolare, una percentuale di 1 punto di aumento del Pil nella spesa per investimenti aumenta il livello del Pil di circa lo 0,4 per cento nello stesso anno e dell’1,5 per cento quattro anni dopo lo shock.

Questi moltiplicatori sono coerenti con la maggior parte delle altre stime rilevate in letteratura. I risultati sono anche robusti per diversi campioni di tempo e quando gli shock di investimento pubblico sono isolati da altri shock di spesa, così come da inattese modifiche nel livello del Pil. Le stime dell’Fmi mostrano, inoltre, che una maggiore spesa in investimento pubblico riduce il rapporto debito/Pil sia a breve termine (di circa 0,9% del Pil) e nel medio termine (di circa 4% del Pil). I risultati suggeriscono anche che funziona l’effetto leva del “crowding in” sull’investimento privato che infatti aumenta in tandem con il Pil. Lo stesso studio, infine, mostra che gli effetti degli investimenti pubblici sul Pil sono maggiori quando essi vengono finanziati “in deficit”.  A questo proposito il documento del Fmi aggiunge che è possibile che l’aumento dell’investimento pubblico finanziato in deficit in paesi con debito già elevato possa aumentare il rischio sovrano e i costi di finanziamento se la produttività dell’investimento è in dubbio (possibilmente a causa di carenze nella selezione dei progetti). Ciò a sua volta potrebbe portare ad un ulteriore accumulo di debito, aggravando i problemi di sostenibilità del debito stesso. Tuttavia l’Fmi conclude che nel campione delle economie avanzate impiegate nella stima, l’evidenza empirica suggerisce che storicamente, gli investimenti pubblici finanziati in deficit non hanno causato aumenti dei costi di finanziamento del debito sovrano.

CONCLUSIONI

Gli investimenti pubblici sono una priorità assoluta non solo del nostro Paese, ma anche della maggior parte delle economie avanzate e dei paesi in via di sviluppo. La ragione sta sia nelle caratteristiche virtuose del capitale pubblico, che è il supporto essenziale di un’azione incisiva di politica economica e sociale, sia nella riduzione secolare degli investimenti in infrastrutture e capitale sociale determinata dalla caduta della crescita economica e dalle crisi finanziarie. Gli investimenti pubblici appaiono anche l’ultima spiaggia di una politica economica costruttiva, quella su cui possono estendersi o infrangersi i tentativi di rilanciare lo sviluppo economico in Italia.   I finanziamenti in deficit sono comprensibilmente considerati con cautela, per i timori delle reazioni dei mercati finanziari, ma questi timori potrebbero essere ridotti se il deficit consentito dalle regole europee fosse tutto utilizzato per alimentare una spesa in conto capitale produttiva.  Polemiche e pericoli possono  essere ulteriormente ridotti, esplorando nuovi ed efficienti meccanismi per selezionare, valutare e implementare progetti che si autofinanzino, sia a livello del nostro Paese, sia in ambito europeo.



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