Per sradicare il fenomeno della pirateria occorre agire sulla terra ferma. Le pattuglie in mare e le scorte armate hanno posto un freno al fenomeno al largo della Corno d’Africa e nel Golfo di Aden. Secondo l’ultimo rapporto della Banca Mondiale sul fenomeno c’è bisogno di colpire chi permette questo giro d’affari capace di costare all’economia mondiale 18 miliardi di perdite l’anno e che dal 2005 ha fruttato in riscatti tra i 315 e i 385 milioni di dollari.
Il resto delle spese sono costi aggiuntivi per la protezione dei commerci -scorte, assicurazioni, operazioni portuali- sebbene altre analisi riportino stime più basse. Il numero degli attacchi è calato nel corso del 2012, soprattutto via delle più stringenti forme di sicurezza in mare. Serve tuttavia creare condizioni affinché i somali non scelgano la pirateria.
I controlli in mare servono fintanto “che sono effettivi, dovrebbero essere permanenti per evitare il ritorno della pirati”, ha spiegato uno degli autori dello studio Quy Toan Do, citato dall’agenzia France Presse, “Ma gli alti costi la rendono una misura insostenibile nel lungo periodo”. Da qui l’esortazione a intervenire a terra, dove i pirati trovano sostegno e dove tenere gli occhi chiusi si rivela fonte di reddito per politici, uomini d’affari e leader religiosi e di milizie cui si stima vadano 300mila euro a vascello per non interferire.
Tuttavia una soluzione politica è difficile. Il governo somalo è debole e non controlla le aree chiave delle pirateria. A questo si aggiunge che i 750 milioni l’anno spesi per l’aiuto e lo sviluppo della Somalia sono soltanto una parte di quelli spesi per misure di sicurezza e difensive.