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Media company o Netflix all’italiana? La Rai riparta dall’informazione

Di Francesco Devescovi
Rai2

Sono in molti a pensare che internet sia stato una delle più importanti invenzioni dell’ultimo secolo. Premesso questo, va sottolineato che l’utilizzo del mezzo sia a volte improprio e in particolare la diffusione delle fake news sia un male considerevole per l’informazione in generale e per l’equilibrio e la coesione di ciascun paese. Come combattere questo male? La Rai dovrebbe farsi carico di “bonificare” il sistema informativo diventando essa stessa la fonte per eccellenza di un’informazione pulita. Ci riesce? La Rai ha ancora quella funzione divulgativa che, in forme e modalità diverse, ha avuto e che ha permesso di facilitare la coesione sociale? La Rai e il Paese sono cambiati, spesso la Rai ha attinto dal Paese più i difetti che i pregi.

Fino agli anni novanta, la Rai ha mantenuto un forte aggancio con la cultura. L’arrivo della televisione commerciale ha contribuito a cambiare una Tv che fino ad allora svolgeva soprattutto il ruolo di servizio pubblico. La Rai ha saputo bene adeguarsi ed anzi anch’essa ha tratto vantaggio dall’aria nuova entrata, tramite l’etere, nelle case degli italiani. Proprio in quel periodo si è conosciuto una collaborazione con la migliore intellighenzia (così come era accaduto all’Eni, alla Banca Commerciale, all’Olivetti), a qualsiasi corrente di pensiero appartenesse. Nelle strutture dei programmi c’erano veri letterati, professionisti sensibili al particolare lavoro che svolgevano, quello di sensibilizzare le coscienze delle persone. Veri “maestri” che invece di avere trenta studenti nell’aula ne avevano milioni davanti allo schermo. Era la Rai dei grandi programmi nazional-popolari su Raiuno, ma anche la Rai che, nel 1979, trasmise su Raidue “Processo per stupro”. “L’ha detto la Rai” è stato il refrain che si sentiva spesso dire come a dimostrare che la Rai fosse come una sorta di fonte della verità.

La concorrenza ha messo la Rai di fronte a questioni prima poco considerate, la produttività e l’equilibrio del bilancio. I problemi sono iniziati quando a dirigere le reti sono arrivati i controller che sostituivano i letterati: la qualità dei programmi ne ha risentito e la Rai ha incominciato ad omologarsi alle Tv commerciali. Nel contempo proprio sulla Tv avveniva lo scontro politico, con il noto conflitto d’interessi: la Rai si è trovata nella difficile situazione di competere con un’azienda, Mediaset, il cui proprietario era il leader dello schieramento di centro-destra. La Rai ha rischiato di farsi essa stessa soggetto politico perdendo quella neutralità che avrebbe dovuto contraddistinguerla. Visto a posteriori, il vero danno creato dal conflitto d’interessi è stato proprio questo, indurre la Rai a fare delle scelte di campo politico nella presunzione di difendere in tal modo la sua esistenza, scelte che la sua natura avrebbe dovuto vietare. Da quel momento la Rai ha perso l’autorevolezza che si era conquistata per essere sempre stata equidistante da tutti gli schieramenti, seppur sempre tendenzialmente benevola nei confronti dei governi di turno.

È con l’arrivo del web che la comunicazione è cambiata radicalmente. Le statistiche dicono che ancora la maggior parte dei cittadini s’informa prevalentemente con la Tv (e la radio), ma è poi sui social, in particolare fra i giovani, che l’idea politica si consolida. Sarebbe il caso di fare un’indagine seria sulle tante società che svolgono lo “sporco” lavoro di condizionare le coscienze degli individui, in particolare di coloro che hanno minori barriere culturali di protezione, diffondendo notizie false, instillando il dubbio sulla moralità degli avversari politici (“La calunnia è un venticello, un’auretta assai gentile che insensibile, sottile, leggermente, dolcemente incomincia a sussurrar. Piano piano, terra terra, sottovoce, sibilando, va scorrendo, va ronzando; nelle orecchie della gente s’introduce destramente e le teste ed i cervelli fa stordire e fa gonfiar”). Sarebbe interessante sapere come si finanziano queste società! Il rischio di diventare “schiavi” delle fake è all’ordine del giorno, anche perché riempiono i social e rimbalzano su tutti i media, ad iniziare dai talk televisivi.

C’è chi sostiene che la Rai debba diventare un “media-company”, altri una sorta di Netflix. È sbagliato; la Rai non deve imitare le Tv commerciali, non deve profilare i propri ascoltatori. La Rai deve invece ritrovare la vecchia capacità divulgativa; deve, in un quadro piuttosto inquinato, riessere una fonte pulita dell’informazione, un faro che metta in luce la cattiva informazione. Se si dovesse scoprire che anche la Rai è portatrice di faziosità, bisognerebbe seriamente domandarsi sulla utilità dell’esistenza del servizio pubblico.

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