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Il forte andirivieni di politici al Quirinale, pubblico e riservato, a piedi, in auto e al telefono, o per posta elettronica, lascia intravedere un presidente della Repubblica in qualche modo spiazzato, nonostante la sua lunghissima esperienza, dagli effetti della decadenza di Silvio Berlusconi da senatore. I cui tempi, nei quali il capo dello Stato non ha voluto o potuto intromettersi, sono stati purtroppo imposti più dalle convenienze congressuali del Pd che da effettive urgenze istituzionali, o soltanto giudiziarie, dopo la condanna definitiva dell’ex premier, in agosto, per frode fiscale.

Si è avuta l’impressione di un Giorgio Napolitano costretto a cambiare idea rispetto ad una originaria convinzione di potere certificare il passaggio del governo da una maggioranza comprensiva di Forza Italia ad un’altra meno larga, o più ristretta, con quei 171 sì e 138 no alla fiducia posta al Senato sulla legge di stabilità finanziaria.

Con un quasi “contrordine, compagni” di antica memoria comunista, pur impostato più a un sano realismo che alla disinvoltura del vecchio Pci, Napolitano ha riconosciuto l’opportunità politica di un nuovo avvio parlamentare del governo. Un nuovo avvio che il presidente del Consiglio ha mostrato di volere ritardare di quei pochi giorni, ormai, che mancano a Matteo Renzi per insediarsi alla guida del Pd.

Così Enrico Letta cercherà anche di farsi spiegare meglio dal sindaco di Firenze le condizioni alle quali egli intende rinunciare da segretario del partito alle tentazioni o minacce già avanzate di staccare lui la spina al governo. Evidentemente a Palazzo Chigi il timore è di vedersi porre da Renzi, nelle parole o nei fatti, o in entrambi, condizioni maggiormente preclusive, ai fini dei rapporti con il Nuovo Centrodestra di Angelino Alfano, di quelle poste dall’allora Pdl di Berlusconi nei rapporti con il Pd temporaneamente e perciò debolmente guidato da Guglielmo Epifani.

Un altro, ma forse ancora più grande problema del presidente del Consiglio, e del capo dello Stato impegnato a sostenerlo, è di trovare una forma di convivenza con la nuova opposizione rappresentata da Forza Italia per portare avanti il progetto di riforma della Costituzione. Che non è realisticamente compatibile con i numeri parlamentari ristretti della legge ex finanziaria. Lo dimostra la bocciatura referendaria, nel 2006, della riforma realizzata in Parlamento dal centrodestra con i suoi soli voti.

Sulla strada della riforma costituzionale, appena riproposta come “improcrastinabile” da Napolitano in un messaggio al congresso dei socialisti di Riccardo Nencini, né lo stesso Napolitano né Letta  possono d’altronde pensare di poter privilegiare, nei necessari rapporti collaborativi con le opposizioni, i grillini ai forzisti di Berlusconi.

Grillo, come si appresta a confermare domenica a Genova, è attratto più dalle demolizioni che dalle costruzioni. Preferisce il vaffanculo, in piazza e altrove, ad altri esercizi, comici o politici che siano. Non a caso egli ha fatto contrastare dai suoi parlamentari, insieme con la sinistra vendoliana, le procedure accelerate di riforma costituzionale allestite dal governo, in deroga a quelle previste dall’articolo 138 della Costituzione.

Se non riuscisse ad agganciare ad una prospettiva concreta la inderogabile riforma della Costituzione, il governo Letta rimarrebbe appeso solo alla esecuzione di una legge di stabilità finanziaria a dir poco asfittica e agli adempimenti, a quel punto però soltanto diplomatici e burocratici, del semestre di turno italiano della presidenza dell’Unione Europea, da luglio a dicembre del prossimo anno. Adempimenti ai quali, in un quadro politico di ordinarissima amministrazione, potrebbe provvedere qualsiasi governo, anche uno dimissionario, purchè non guidato o condizionato da Grillo. Perché in tal caso sarebbero forse compromessi anche gli aspetti decorativi di un semestre europeo di presidenza italiana.

Francesco Damato

Le ansie di Napolitano fra Berlusconi, Renzi e Grillo

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