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Lo sforzo per arrivare a colloqui diretti con i talebani doveva essere fatto prima, non quando gli Stati Uniti hanno ormai annunciato che si ritireranno dall’Afghanistan. Christian Rocca, direttore di IL, mensile del Sole 24 Ore, già corrispondente dagli Stati Uniti per il Foglio, commenta la notizia di ieri dell’apertura di un ufficio di rappresentanza dei turbanti neri a Doha, Qatar, e soprattutto gli annunciati colloqui con gli Usa per giungere a una soluzione del conflitto afgano.

Le prospettive di pace non sembrano partire con il piede giusto. Oggi i talebani hanno rivendicato l’attacco alla base di Bagram in cui hanno perso la vita quattro soldati. Che prospettive ci sono?

Parlare di prospettive è sempre difficile. Aperture di questo tipo ci sono state sia durante la fine della presidenza Bush sia nel primo periodo dell’amministrazione Obama. Poi sono naufragate un po’ perché i talebani non avevano intenzione di continuare, un po’ perché gli Stati Uniti non erano convinti. Dando per scontato che questo sia veramente un sforzo per porre fine all’epoca degli attacchi, gli Usa non avrebbero dovuto farlo alla fine del loro impegno in Afghanistan. Avrebbero dovuto farlo durante il primo mandato di Obama quando avevano sul terreno 140mila uomini ed erano in posizione di forza. Ora sono deboli dopo aver annunciato a tutti gli afghani sia a Kabul sia ai telabani che se ne andranno. Il momento per la trattativa è quando hai il coltello dalla parte del manico.

Come si dovranno comportare con il Pakistan. Un attore chel presidente afgano Karzai sembra voler escludere?
La questione è regionale. Non a caso per l’area è stato coniato l’appellativo di AfPak. Il Pakistan ha creato i talebani anche con il sostegno degli Stati Uniti. I turbanti neri sono in gran parte pashtun come dall’altra parte della frontiera. Islamabad non vuole perdere l’influenza sulle questioni afgane e su un Paese che considera il proprio cortile di casa. Detto questo il punto centrale sono gli errori degli Usa. La prima alleanza formata da Bush dopo l’11 settembre aveva l’obiettivo di cambiare il governo afgano. Poi l’attenzione è stata rivolta all’Irak. Obama, che ha criticato l’intervento iracheno, ha invece considerato quello afgano il conflitto giusto. Era nel momento di maggiore forza che avrebbe dovuto cercare il dialogo. In Dispensable Nation, lo studioso di origine iraniana Vali Nasr, che lavorò assieme al rappresentante speciale degli Usa per il Pakistan e l’Afghanistan, Richard Holbrooke (morto nel 2010, ndr), racconta questo fallimento strategico dall’interno e di come lo stesso Holbrooke spinse senza risultato per la trattativa.

Hamid Karzai e il governo afgano avranno un ruolo o sarà soltanto un affare statunitense?
Sebbene confinato a quella che un tempo era definito la carica di sindaco di Kabul, Karzai è pur sempre il presidente. Un ruolo lo avrà. È una figura controversa che a Washington vanta sia sostenitori si oppositori.

Afghanistan, Obama sbaglia i tempi. L'analisi di Rocca

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