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La corsa alla prossima Cina è già iniziata. Cina intesa come modello, quella che George Friedman su Stratfor definisce una metafora del lavoro intensivo, a basso costo, dell’appetito per gli investimenti, dello sviluppo sregolato su larga scala.

UNA POTENZA IN AFFANNO
Il modello cinese come lo si è conosciuto negli ultimi trent’anni inizia a dare segnali di affaticamento. I ritmi di crescita oscillano attorno a 7-7,5%, un sogno per le economie europee in difficoltà, ma lontani dai tassi a doppia cifra che hanno caratterizzato il decennio dorato appena trascorso. Tra gli obiettivi della dirigenza cinese entrata in carica la scorsa primavera c’è proprio la riforma del modello di crescita: meno quantità e più qualità con un’attenzione per la sostenibilità dello sviluppo e la crescita della domanda interna.

UN PIANO STRATEGICO
Riforme che saranno annunciate con probabilità nel terzo plenum del comitato centrale del Partito comunista in autunno. In questo contesto gli analisti guardano a chi prenderà il posto di Pechino negli anni a venire. Come sottolinea Friedman nella sua analisi per la società di intelligence privata, considerata la stazza della Repubblica popolare sarà difficile che a sostituirla possa essere un unico Paese. Esiste tuttavia un gruppo di Paesi identificati con la sigla PC16, ossia le 16 nazioni “post-China” in cui gli investitori si stanno muovendo, cinesi compresi, che seguono le orme del Paese di Mezzo: bassi salari e sviluppo mirato sulle esportazioni.

L’ESEMPIO DEGLI ANNI ’50
Una strada battuta già alla fine della Seconda Guerra Mondiale da Germania e Giappone. Lo stesso Friedman ricorda come negli anni Cinquanta del secolo scorso negli Stati Uniti, “made in Japan” fosse sinonimo di prodotti a basso costo. Un concetto che per gli amanti del cinema popolare ritorna anche in uno scambio di battute del film Ritorno al futuro. Negli anni seguire proprio con l’economia il Giappone riuscì invece a fare ciò che non gli fu possibile con il militarismo della prima metà del secolo scorso: espandere la propria influenza.

NUOVE REALTÀ
Scorrendo l’elenco dei PC16, sono diversi quelli che si affacciano sull’Oceano indiano o sono comunque legati a quella porzione di mondo: Tanzania, Kenya, Etiopia, Sri Lanka, Birmania, Bangladesh, Indonesia. Quest’ultima assieme al Messico, altro Paese dei gruppo, era tra le nazioni che compongono uno dei nuovi acronimi cari agli economisti globali, il Mist (che comprende anche la Corea del Sud e la Turchia), gruppo che per molti prenderà in futuro il posto di quelle che oggi sono le potenze economiche emergenti del Brics. Come “nuove Cina” si guarda inoltre a Nicaragua, Perù, Repubblica dominicana, Filippine oggi il Paese con il tasso di crescita più alto dell’Asia orientale. Ad accomunare il gruppo è secondo Friedman la propensione al manifatturiero, in particolare il tessile, e l’assemblaggio di componenti elettronici. Guardando alla Cina viene alla mente il modello delle province costiere dove ebbero inizio le riforme, definite a lungo la fabbrica del mondo, e la controversa Foxconn, salita alla ribalta per la serie di suicidi negli impianti in cui sono assemblati tra gli altri i prodotti della Apple, circostanza che ha fatto salire alla ribalta la società. Sono escluse dall’analisi i Paesi che basano la propria crescita sull’estrazione di materie prime e sulla energia, perché potrebbero seguire un processo di sviluppo diverso.

Ecco come la Cina prepara la decrescita felice

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