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Grazie all’autorizzazione dell’editore e dell’autore, pubblichiamo un estratto dell’editoriale del Prof. Mario Morcellini, direttore del Dipartimento di Comunicazione e Ricerca sociale alla Sapienza Università di Roma, apparso sulla rivista Federalismi.

In Italia, ogni scadenza elettorale si presenta come una rivoluzione, piccola o grande, e l’insieme di questi cambiamenti, lo stress a cui sottopongono una politica già messa in difficoltà dalla rincorsa ai linguaggi compulsivamente nuovi dei media, incide necessariamente in termini di stabilità sull’architettura stessa della democrazia italiana. Non si può dimenticare che l’assoluta singolarità della situazione italiana trova due ulteriori elementi di condizionamento.
Il primo di questi è l’aumento impressionante dell’incertezza politica, in larga misura prodotto da un logoramento e da una estrema precarietà delle forze più rilevanti dello scacchiere italiano, oltre che dalla tradizionale incapacità del nostro sistema politico nel produrre programmi chiari e impegnativi per l’azione di governo. Il secondo elemento di condizionamento è determinato dal ruolo inedito che potrà giocare l’attitudine dei sistemi mediali alla cultura del sondaggio, in presenza di un radicale indebolimento delle capacità di previsione attribuibili a questo strumento di raccolta delle opinioni e dei pronostici di comportamento di voto. Ad aggravare la situazione, a fronte di tutte le novità a vari livelli (nuove formazioni, soggetti non solo partitici, restyling, etc.), i cittadini sono chiamati ad esprimere il voto debbono fare i conti con il sistema mediale e informativo italiano segnato da una comprovata difficoltà a svolgere una funzione di accompagnamento critico del cambiamento, e comunque a porsi come strumento utile nel momento dell’incertezza, con diete informative e comunicative adeguate all’acutezza del bisogno d’informazioni.

L’eccezionalità

È dunque evidente che ci sono ragioni indiscutibili per parlare di una dimensione di eccezionalità della situazione italiana. Non è mai capitato in passato che i cittadini abbiano visto slittare così bruscamente i punti di riferimento che di norma funzionano da elementi di riduzione dell’incertezza. È al tempo stesso sorprendente quanto è successo nel teatrino della comunicazione. Dopo una lunga fase di attesa da parte dei media, nelle settimane a cavallo tra il 2012 e il 2013 è prevalsa la corsa al protagonista e allo scoop, in uno scenario scarsamente regolato come quello tipico del sistema televisivo italiano. Solo in extremis, la Commissione di Vigilanza è riuscita a porre in campo un sistema di regole, anche se fa meraviglia la circostanza che in una situazione come questa le grandi emittenti avrebbero potuto immaginare processi di autoregolazione che invece sono mancati. Un’attenta analisi del mercato dell’incertezza del pubblico avrebbe dovuto favorire una diversa capacità di monitorare la situazione e magari di immaginare programmi e formati adeguati rispetto alla crisi determinata dall’incertezza. Sarebbe stata davvero una bella prova di Servizio Pubblico, e si è invece rivelato un autogol dei media generalisti: come nell’occasione del referendum sui beni comuni, i media mainstream sembrano ancora una volta voler gestire la crisi e la transizione ad un equilibrio più composito con le parole e nelle arene di ieri, rischiando di regalare un ulteriore aiuto alle decantate potenzialità democratiche della rete.

Un centro di gravità (Permanente?)
La prima novità di un contesto che solo eufemisticamente può definirsi cambiato è che stavolta il centro esiste. A lungo è stato, o è stato considerato, un rituale di passaggio, un luogo in cui la scelta era rinviata o semplicemente suggerita in attesa di sviluppi.
il processo di legittimazione del centro è in qualche misura il risultato del lavoro del governo tecnico. Per oltre un anno i due principali partiti hanno potuto condividere con l’attuale centro un’azione legislativa, seppur con caratteri d’emergenza. Ma nell’immaginario degli italiani è forse finalmente avvenuto un definitivo processo di sdoganamento della terzietà (un concetto quasi estraneo alla cultura italiana, e cioè un luogo sottratto agli eccessi del radicalismo, praticamente una tempesta perfetta), ma anche una percezione oggettiva del centro come sintesi dinamica di interessi sociali a lungo maggioritari in una stagione di emergenza e di rischio di perdita di autonomia del sistema-paese.
L’elemento di novità forse più interessante è l’emergere di un centro gravitazionale dei valori (elemento per definizione difficilmente comunicabile) di questo nuovo attore dello scacchiere politico italiano, fondato su due imperativi: dire la verità, anche a costo di perdere voti, e scegliere la razionalità in chiara polemica con populismi ed estremismi, persino in un contesto in cui la sostenibilità delle scelte e la loro consonanza con le richieste del più ampio sistema politico e finanziario internazionale sono argomenti apparentemente fuori moda e fuori tempo in un contesto elettorale, ma a lungo frequentati, anche da partiti ora diventati critici, come elementi retorici per la salvezza del sistema-paese. E non si può dimenticare facilmente che in proposito è stato decisivo il compatto schieramento favorevole di buona parte del sistema informativo, soprattutto d’opinione. Se questi imperativi dimostreranno la capacità non solo di affermare la loro risonanza nei commenti di politici e giornalisti, ma anche di sedimentarsi nelle coscienze degli elettori, sarà il segno di una vera riforma comunicativa.

Chi vince e chi perde
Non è facile prevedere quale sarà la performance elettorale del centro; ma già questo assunto è la prova di quanto il panorama sia cambiato. Se la situazione è eccezionale, è verosimile che anche i risultati possano comportare rilevanti sorprese. E quale che sia la forza elettorale e parlamentare del centro, è certo che essa dinamicamente modificherà la postura e la stessa consistenza (al tempo stesso quantitativa e culturale) degli altri poli e soggetti in competizione. Basterebbe pensare a quanto sia cambiata nelle ultime settimane la previsione sulla forza elettorale del MoVimento 5 Stelle. In un contesto in cui l’antipolitica era il tema ossessivo dei media e l’epicentro di una improvvisa fiammata di giornalismo di inchiesta, Grillo e il suo movimento si avviavano a pronostici trionfali. Nello stesso momento in cui la politica, non solo dal suo interno, ha provveduto a riorganizzare drasticamente la propria rappresentazione pubblica, la forza dell’antipolitica si è ridimensionata e la tematizzazione si è spostata verso nuovi claim. Se questo non è un cambiamento, e per di più rapido, ci domandiamo di cos’altro abbiano bisogno gli studiosi di politica. Per completezza di quadro, occorre dire che il declino dei movimenti di protesta non è solo frutto, ovviamente, dei lavori in corso al centro dello scenario politico. Una funzione non meno rilevante l’ha svolta certamente la copertura comunicativa dell’evento delle Primarie del centrosinistra, che anzi ha fornito un nuovo asset strategico per i media e i commentatori, sottolineando il danno di non aver saputo costruire sul versante opposto qualcosa di competitivo. Anzi, l’estenuante incertezza e la rapida rottamazione di questa idea nel centrodestra hanno favorito e quasi giustificato il monopolio informativo a favore del centrosinistra.

I due litiganti
Occorre dire che, in una situazione di cambiamento radicale e di non meno pervasiva incertezza, le parole, le attenzioni e i discorsi che riguardano un soggetto finiscono per togliere ossigeno e appeal ad altri competitors. È dunque essenziale più che mai una rigorosa capacità di misurazione delle parole e della loro portata di conoscenza del reale.
Sviluppando questo argomento della complementarietà, è evidente che la forza competitiva del centro è strettamente legata, in prima battuta, oltre che al declino dei movimenti e dei momenti di protesta, a quanto succederà nel campo del centrodestra. È un punto essenziale della trattazione, se non altro perché per lunghi anni qui si è raccolta una chiara maggioranza del bacino elettorale del paese. Se il Pdl non gode dei favori del pronostico, non è più garantito che Berlusconi possa essere una medicina miracolosa quanto in passato. I tempi stretti della competizione lasciano pensare che l’appuntamento elettorale abbia interrotto un processo, peraltro seriamente avviato (e meno convincentemente difeso) da Alfano, di laicizzazione della sua formazione politica, lungo una strada sulla quale Berlusconi non ha manifestato nessuna autentica capacità né di silenzio e né sostegno. La condanna di Berlusconi è che parla persino quando tace: è un animale così intrinsecamente comunicativo che non gli è consentita una vera e propria afasia pubblica. Per molti versi, però, la crisi del Pdl è in qualche modo non del tutto estranea a qualche dubbio sullo stesso Pd: è la crisi delle corazzate, che potrebbero pagare più di altri soggetti lo sturm und drang dell’antipolitica e dell’esaurimento delle ragioni persuasive del maggioritario.
Non ci sfugge certo che il Pd ha però il vento in poppa, e può giocare la carta di una serena consapevolezza del pronostico, per correggere – attraverso la forza dell’effetto bandwagon – una dinamica elettorale in cui, alla già manifestata tendenza al declino dei voti fa da pendant un aumento più visibile della capacità di coalizione e di un beneficio mediatico connesso alla capacità gravitazionale nel centrosinistra.

Leggi l’editoriale sul sito della rivista Federalismi diretta dal Prof. Beniamino Caravita

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