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Crocevia tra due viaggi. Quello di commiato concluso sabato dal presidente Giorgio Napolitano a Washington e alla vigilia del primo viaggio in Europa di John Kerry nelle nuove vesti di segretario di Stato americano.

Due momenti importanti che inducono a riflettere su se e come stia cambiando il rapporto tra Stati Uniti e Europa, Italia compresa. Formiche.net lo ha chiesto a Giampiero Gramaglia, ex direttore dell’Ansa e consigliere per la comunicazione dello Iai. “Non penso che ci siano per il momento grandi variazioni rispetto al rapporto che Usa ed Europa hanno avuto nel primo quadriennio di Obama alla Casa Bianca – spiega – L’avvicendamento alla segreteria di Stato americana tra Hillary Clinton e John Kerry non ha una valenza politica particolare per l’Europa. Kerry ha studiato in Svizzera, è cresciuto nel New England che è la parte degli Stati Uniti con maggiori tradizioni europee. Ricordo un episodio significativo in merito: il 14 febbraio, incontrando il ministro degli Esteri europeo Catherine Ashton, Kerry ha scherzato sul giorno di San Valentino, dicendo all’Europa di non essere gelosa dell’attenzione che gli Usa hanno per l’Asia e il Pacifico”.

Direttore, cosa si aspetta Obama dall’Europa?

Si aspetta che faccia di più per la crescita e l’occupazione, che rilanci la domanda in modo che l’offerta di beni e servizi americani possa essere assorbita sempre di più sul territorio europeo.

John Kerry sarà in Italia il 26 febbraio, il giorno dopo il voto. Come si evolveranno i rapporti tra Stati Uniti e il nostro Paese?

Kerry arriva in un giorno poco significativo. Incontrerà i responsabili governativi che saranno in carica giusto per gli affari correnti. Non sarà quello il giorno giusto per parlare con l’Italia del dopo voto. L’amministrazione Obama ha avuto negli ultimi due anni un’attenzione forte per il nostro Paese. All’inizio è prevalsa la preoccupazione per la mancanza di feeling tra il presidente americano e l’allora premier italiano Silvio Berlusconi a cui si sono aggiunti i dubbi per l’andamento dell’economia italiana che rischiava di compromettere la credibilità dell’intera eurozona. In quella fase, Obama ha scelto come interlocutore privilegiato Giorgio Napolitano.

E poi è arrivato Monti…

Con l’arrivo di Monti, c’è stata subito maggiore sintonia tra i due leader che hanno in comune lo stesso carattere freddo, riservato, poco incline alle amicizie sopra le righe a cui ci aveva abituato Berlusconi. La valutazione dell’operato del Professore da parte di Obama è stata positiva.

E ora?

Fermo restando che la visita di Napolitano a Washington sia stata una visita di commiato, essa è stata anche informativa da parte di Obama per sapere quello che succederà in Italia. E’ vero, come ha precisato la Casa bianca, non c’è stato nessun endorsement, semmai la paura per un ritorno al passato del nostro Paese.

Quali sono i fronti aperti nel mondo su cui Europa ed Italia dovranno convergere?

Ci sono vari fronti comuni di attenzione per gli alleati atlantici. L’Afghanistan con il comune accordo di concludere l’impegno militare entro il 2014, gli scenari in movimento e quindi poco chiari della Primavera araba come l’Egitto, la Tunisia, la Libia, per non parlare del fronte neoterroristico che si è aperto al sud del Sahara, il Mali soprattutto. Poi ci sono delle zone in crisi costante: la Siria dove le attese di una rapida evoluzione della crisi in corso sono ormai stemperate e l’atteggiamento comune è una certa diffidenza ad armare i ribelli la cui composizione è poco nota; l’Iran dove il tentativo di fermare il nucleare non è andato a buon fine. A queste aree critiche, si aggiunge la Corea del nord, giunta al terzo test nucleare. Gli Stati Uniti sono inoltre particolarmente sensibili a Israele, dopo il voto del 21 gennaio scorso, vista l’incognita delle relazioni non eccellenti tra il premier Benjamin Netanyahu e il presidente Obama.

Obama e i timori di un ritorno al passato in Italia

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