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Fino a poco tempo fa, il Mali era semplicemente un Paese scarsamente popolato, povero, senza sbocchi sul mare e deserto. È vero, godeva di una certa stabilità politica in confronto ai suoi scombussolati vicini, ma l’idillio si è interrotto con il colpo di Stato del 2012. Adesso però è diventato il centro d’attenzione del mondo. In mezzo al caos, il presidente François Hollande ha deciso di intervenire con i suoi soldati in nome dello spirito pacificatore e i valori di libertà della Francia. Nessun interesse politico o economico, ha detto.

Per Richard Dowden, direttore della Royal african society in Gran Bretagna, l’attenzione sul Mali si deve anche all’alta concentrazione di ribelli salafiti e movimenti estremisti islamici finanziati da gruppi wahabiti sauditi, che può fare diventare il deserto un rifugio di terroristi. “Il Sahel è diventato il punto di partenza della nuova offensiva islamista, guidata da Al Qaeda nel Maghreb Islamico (Aqmi) e dei suoi alleati”, ha scritto Dowden in African Arguments.

Ma questa minaccia non riguarda solo il Mali: secondo la newsletter Africa Confidential, anche il Niger e la Mauritania sono nel mirino di alqaedisti e jihadisti. Dietro all’intervento militare in Mali, invece, c’è una preziosa risorsa naturale della quale dipende l’approvvigionamento energetico della Francia: l’uranio.

Secondo Gilles Labarthe, fondatore dell’agenzia di notizie svizzera Datas, esperto della neo-colonizzazione africana, “è chiaro che la Francia e il resto dei Paesi coinvolti nell’intervento si muovono per l’interesse di assicurarsi i giacimenti di minerali della regione, come è successo in Libia”. Labarthe ammette che è difficile identificare quali lobby industriali ci sono dietro ma si avventura e punta sulla francese Areva, che ha importanti esplorazioni di uranio in Niger, a soltanto 200 chilometri dal Mali. Un gigante dell’uranio, con miniere di 700 metri di profondità, e con prospettive di crescita del nucleare di 4 e 6 % nel 2013. Troppo promettenti per metterle a rischio.

In più, come ricorda un articolo del Sole 24 Ore, nel 2014 entrerà in funzione la nuova miniera di Imouraren, sviluppata sempre dal colosso minerario Arena nel suolo nigeriano, e con questo la Francia diverrà il secondo produttore mondiale di uranio, lasciandosi alle spalle il Canada e l’Australia.

Secondo l’Associazione Nucleare Mondiale, tre quarti dell’elettricità che genera la Francia proviene dell’energia nucleare, essendo diventata grandi esportatrice, con un fatturato di circa 3mila milioni di euro all’anno. E in questo senso il Niger potrebbe assicurare circa il 40% del fabbisogno francese di uranio. Oggi rifornisce il 26% dell’import della Francia.

Dal dipartimento di ricerca della globalizzazione di Global Research spiegano che i giacimenti di uranio che ci sono nella regione di Falaa, circa 150 dalla Guinea del nord, potrebbero contenere circa 5mila tonnellate di minerali. Ed è proprio lì che la canadese Rockgate è da anni a fare proiezioni e studi.

C’è anche l’oro, con esportazioni di circa 70mila milioni di euro all’anno soprattutto verso gli Emirati Arabi e la Svizzera, in quel terreno apparentemente povero e desertico del Mali e dintorni. La Global Research ricorda che ci sono importanti riserve di rame, litio, bauxite, piombo, fosfato e petrolio. La Francia, in questo contesto, forse non può restare inerme.

L’ombra dell’uranio dietro l’intervento francese in Mali

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