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Mancano 547 giorni all’apertura dei seggi per il voto che deciderà se la Scozia continuerà o no a far parte del Regno Unito. La data del referendum sull’indipendenza è stata fissata ufficialmente: 18 settembre 2014.

Per il premier scozzese e leader dello Scottish National Party, Alex Salmond, che ha parlato davanti al Parlamento di Edimburgo, sarà “un giorno storico per la nazione, il giorno in cui ci alzeremo sulle nostre stesse gambe, e non lo faremo da soli”.

Il quesito sarà semplice, già deciso lo scorso gennaio. Gli scozzesi dovranno dire sì o no alla domanda: “La Scozia deve essere una nazione indipendente?”. Alle urne potrebbero andare anche sedicenni e diciassettenni, come annunciato all’inizio del mese dall’esecutivo locale. Una decisione accettata anche dal premier britannico David Cameron.

I diciotto mesi che separano le aspettative dei nazionalisti dalla consultazione serviranno a convincere la maggioranza a staccarsi da Londra. Un sondaggio TNS BRNB di marzo, citato dall’agenzia Bloomberg, dà i contrari all’indipendenza al 52 per cento, mentre i “sì” sarebbero ancora al 33 per cento. Il campione è di 1.001 scozzesi, su una popolazione di 5 milioni, ma anche rilevazioni precedenti davano i no in vantaggio.

Per Salmond e indipendentisti, separarsi dalla Gran Bretagna darà al nuovo Paese l’opportunità di diventare più ricco, verde e solidale, giovando dei ricavi delle risorse petrolifere del Mare del Nord (6,5 miliari di euro) e mantenendo la sterlina come valuta.

Sul versante unionista, capeggiato dal laburista Alistair Darling sotto lo slogan “Better Togheter” (meglio assieme), le certezze di un futuro migliore prospettate dai nazionalisti sono tutt’altro che tali.

Resta in particolare il nodo dell’adesione di Edimburgo agli organismi internazionali. Un parere legale reso pubblico il mese scorso dal governo di Londra sottolinea come il nuovo Stato indipendente dovrebbe rinegoziare tutti i rapporti. Sulla stessa linea, per quanto riguarda l’Europa, è stato il presidente della Commissione europea, Manuel Barroso, che ha sottolineato come ogni nuovo Paese debba fare richiesta di adesione e ricevere il consenso di tutti gli Stati membri, Gran Bretagna compresa.

Quella stessa Gran Bretagna che tuttavia, poco più di un anno dopo potrebbe andare alle urne con un quesito non dissimile da quello scozzese, ma declinato su scala più grande. I cittadini britannici vogliono continuare ad aderire all’Unione europea? Anche in questo caso risposta secca sì o no. Sempre che il governo conservatore esca vittorioso dalla prossima tornata elettorale e che prima Bruxelles non abbia accettato di rinegoziare i termini dell’Unione come chiesto da Cameron.

Anche nel caso britannico, sondaggi recenti di YouGov evidenziavano come dall’inizio della legislatura i favorevoli a restare nell’Unione (40 per cento di quanti hanno risposto) abbiano superato gli elettori pronti ad abbandonare Bruxelles (34 per cento). La percentuale degli indecisi è però del 20 per cento. Situazioni simili. D’altronde Scozia e Gran Bretagna hanno percorso assieme 300 anni di Storia.

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