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Non passano cinque minuti che il mio pezzo sull’egoismo viene pubblicato sul nuovissimo e bellissimo sito di Fomiche.net che ricevo una chiamata da un numero telefonico con tanto di prefisso inglese a numeri romani.

MF: pronto

BdM: ma che castronerie scrive!

Mi si gela il sangue. Anche perché, di questi tempi, le opinioni sono più pericolose delle inchieste e gli editori oltre che tirare la cinghia, tirano il morso di molti loro editorialisti. Con una voce un po’ tremolante cerco di farmi valere e dico.

MF: ma lei, intanto, chi è?

BdM: Sono Bernard de Mandeville.

E chi sarai mai costui. Digito subito nome e cognome su google per reperire informazioni sul telefonico accusatore.

BdM: Lei sostiene una tesi, relativamente all’egoismo, che la storia economica ha smentito categoricamente.

Io che mi ero nel frattempo impossessato di una serie di informazioni sul mio interlocutore, rispondo così:

MF: il suo libro di storia è troppo storico. Lei ha vissuto gli albori della prima rivoluzione industriale. A noi è toccata in sorte la terza.

BdM: l’uomo non cambia. E’ sempre uguale. Rimane un composto di diverse passioni ciascuna delle quali, se viene eccitata e diventa dominante, lo governa. Lo voglia o meno.

MF: si, certo, ma oggi il capitalismo, portato alle sue estreme conseguenze, passando ad esempio attraverso l’induzione di nuovi bisogni da far inorridire il buon Maslow fin a squadrarne la piramide, pare non essere capace di autoalimentarsi come ha fatto per due secoli. E per di più lo strenuo tentativo di forzarne i meccanismi di base stanno minando il rapporto di coesistenza tra l’uomo e i suoi simili e tra l’uomo e la natura.

BdM: quanto al rapporto all’uomo e i suoi simili non le sarà sfuggito quanto da me raccontato attraverso la metafora delle api. C’è sempre una minoranza che vive al di sopra delle sue possibilità indulgendo nei vizi del lusso, della lussuria e dell’avidità sulle spalle di una moltitudine di asserviti che lavorano come, appunto, le api operaie.

MF: guardi che dire che l’egoismo è finito non implica auspicare un mondo di uomini buoni e pacifici, virtuosi e senza vizi in cui non vi sono disuguaglianze anche a patto di essere poveri.

BdM: ma non si sono alternative. La sua società può funzionare a livello locale, dove la frugalità garantisce un benessere fatto di poche pretese. Ma non a livello globale dove c’è bisogno di un processo di espansione continuo.

MF: ma che ne vuole sapere lei di globalizzazione che si e no ha conosciuto la bolla dei tulipani. Qui, nella nostra di epoca, di bolle ne scoppia una ogni cinque, dieci anni. E sono dolori. La finanza, che ai suoi tempi era strettamente connessa con l’economia reale, è diventata essa stessa commercio. Le tecnologie dell’informazione hanno fatto il resto e reso globale anche il mercato rionale.

Lo stravagante interlocutore proveniente dal settecento chissà con che diavoleria si è messo in contatto con il presente, fatto è che prende e dice.

BdM: Ma allora come spiega che Depardieu, l’attore francese che scimmiotta spesso personaggi della mia epoca, per inciso io i francesi non li sopporto, ha deciso di scappare dal fisco della sua grande Francia ripiegando nel più indulgente Belgio? E come spiega che, sempre per lo stesso motivo, l’architetto Calatrava, che ammiro molto e che mi ricorda il mio compatriota Isambard Kingdom Brunel, abbia trovato asilo nella neutrale Svizzera? L’avidità e l’egoismo fanno l’uomo.

MF: me la cavo con il sommo poeta. Prodighi e avari stanno nello stesso girone. E quello che serve oggi è un senso di disciplina che chi governa deve promuovere a ogni livello favorendo condotte di buon senso e responsabili. Che non impediscano ai ricchi di continuare a fare i ricchi, ma allo stesso non impediscano ai poveri di non continuare ad esserlo.

BdM: mi ha quasi convinto. E dato che le chiamate internazionali intertemporali costano molto, per intanto, la saluto.

Al telefono con Bernard de Mandeville, il filosofo della fiaba delle api

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