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Sarà una tragedia oscurata la morte dell’ambasciatore americano in Libia, Christopher Stevens, una tragedia che nonostante la sua importanza e pericolosità passerà all’oblio. Non solo in Libia e negli Stati Uniti ma anche nel resto del mondo. Questa è la considerazione principale di Carlo Pelanda, docente di Scenari globali presso l’University of Georgia e l’Università G. Marconi a Roma,  conversando con Formiche.net. “L’amministrazione del presidente Barack Obama si impegnerà a minimizzare l’accaduto in Libia perché è la simbologia del fallimento della Primavera Araba e questo potrebbe sconvolgere tutti gli equilibri della campagna elettorale americana”, spiega Pelanda.
 
Secondo l’analista di geopolitica la Primavera araba “è una barzelletta inventata da qualche giornalista” ed è servito al governo statunitense per giustificare il disimpegno in alcune regioni e per spiegare la disattenzione dell’Occidente. Ma l’attacco all’ambasciata da parte di manifestanti che protestavano contro un film su Maometto smonta l’immagine che il mondo ha, quella di un cammino verso il sistema democratico. “La morte dell’ambasciatore è molto delicata. È il simbolo dell’idiozia con la quale la gestione di Obama ha portato avanti la politica estera”, ha detto Pelanda.
 
E Mitt Romney? Come si porrà il candidato repubblicano davanti all’accaduto? C’è chi sostiene che l’attacco alla rappresentanza “Non si porrà. Non farà nessun riferimento e la questione passerà senza rilevanza. Ci sono morti in mezzo e nella campagna elettorale repubblicana non si può speculare su questo”, ha spiegato il professore.
 
In quanto agli altri paesi della regione, Pelanda sostiene che è in corso una arabizzazione della questione mediorientale, che degenererà in una guerra civile. “Risolveranno il conflitto – spiega Peland a- con lo scontro tra le loro fazioni: sciiti e sunniti dalla parte musulmana e tutti le divisioni che ci sono nella realtà araba. Questo ridurrà i costi per l’Occidente”.

Pelanda: “La morte dell’ambasciatore sarà minimizzata”

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