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Un fantasma si aggira per la politica italiana. È costituito dalla ploriferazione incontrollata dello strumento del manifesto politico con cui nuovi movimenti e vecchi politici propongono al Paese, stremato dalla crisi, ricette salvifiche per una rinnovata stagione politica all’insegna della crescita e del buongoverno.
 
Lo strumento del manifesto è antico nella storia politica, sociale e artistica dell’Occidente. Tramite il manifesto sono stati proposti, mutuando la terminologia utlizzata da Thomas Kuhn per descrivere le fasi della storia della scienza, dei salti di paradigma fondamentali. Dalla dichiarazione di indipendenza degli Stati Uniti del 1776, al manifesto Comunista del 1848, al manifesto Futurista del 1909 al manifesto Russell-Einstein del 1955, il manifesto è sempre stato uno strumento tramite il quale un gruppo di persone si opponeva a una tendenza dominante ritenuta obsoleta proponendo un nuovo modello all’insegna della discontinuità rispetto al passato.
 
Tramite il manifesto, si prendeva atto dell’incapacità del paradigma precedente di interpretare e rappresentare i bisogni della società proponendo un cambiamento drastico all’insegna della proposta di nuovi contenuti più attuali ed in grado di costituite un riferimento per il futuro.
 
Riprendendo questo schema di analisi e applicandolo al volatile panorama politico italiano, si possono scorgere due tipologie di manifesti.
 
La prima è quella rappresentata dalle proposte programmatiche di nuovi movimenti politici, di solito più o meno riconducibili alla cosiddetta area liberale. In questo caso l’utilizzo del manifesto sembra essere uno strumento consono (mai la cultura liberale ha avuto reale rappresentatività nella politica italiana e i firmatari dei suddetti manifesti sono soggetti che, nella stragrande maggioranza dei casi, sono estranei alla precedente classe politica). Semmai si potrebbe eccepire sulla reale novità di alcuni di questi manifesti che spesso riprendono contenuti di altri documenti sempre riconducibili alla medesima area culturale ma, prescindendo da questo aspetto che non è oggetto di questo intervento, è indubbio come la motivazione sottostante sia coerente con lo strumento utilizzatto, essendo tendenzialmente motivata alla proposta di un salto di paradigma.
 
Ben diversa è la natura della seconda classe di manifesti di questo interessante periodo della storia italiana. Si tratta di documenti redatti da esponenti di rilievo della Seconda Repubblica che propongono nuove soluzioni sempre all’insegna dei termini “liberale” e “meno Stato, più società”, che sembrano essere diventati un vero e proprio mantra nel dibattito politico italico. Si tratta per esempio del manifesto per la Nazione dei cosiddetti Neo Conservatori (Formigoni, Gasparri, Sacconi, Alemanno e Gelmini o, meglio, una serie di associazioni dai nomi più meno fantasiosi a loro riconducibili come Rete Italia, Liberamente o Italia Protagonista) oppure del Manifesto 3L dell’indimenticato ex ministro Giulio Tremonti.
 
Leggendo i suddetti documenti (con parecchia buona volontà) e applicando un minimo di onestà intellettuale, si fa fatica a scorgere i due elementi che nel passato hanno caratterizzato lo strumento del manifesto, vale a dire la proposta di un nuovo paradigma e i firmatari discontinui rispetto alla precedente classe dirigente.
 
Mi sembra che i suddetti manifesti più che proporre un cambiamento propongano una conservazione di una precedente fallimentare classe dirigente e dei relativi privilegi. In questo senso si deve dare atto che il Manifesto per la Nazione ha, perlomeno, il pregio di essere sostenuto dal gruppo che si auto definisce Neo-Conservatori. In effetti l’obiettivo del documento è la conservazione di un qualcosa che ha caratterizzato gli ultimi venti anni di Italia.
 
Ovviamente da liberale non posso negare l’istinto primario all’auto conservazione di un soggetto che, per la propria inadeguatezza nei confronti del cambiamento di scenario, si trova a non essere più adatto allo stesso e, pertanto, destinato all’auspicabile estintinzione (non per antipatia personale nei confronti dei suddetti soggetti ma solo perché l’evoluzione procede solo tramite l’estinzione del non adatto sostituito da chi lo è maggiormente). Ma d’altro canto, da osservatore, non posso non sottolineare come l’unica reazione che i suddetti manifesti possono suscitare è un sorriso ironico (oppure un po’ di rabbia, ma questo dipende dallo stato d’animo individuale).
 
 
Massimo Brambilla è managing director di Fredericks Michael & Co.

Guida critica ai manifesti di Tremonti, Sacconi e Formigoni

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