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“Un intervento a cuore aperto della società israeliana”, così il quotidiano Haaretz ha definito Il poeta di Gaza, il nuovo libro di Yishai Sarid, meravigliosamente tradotto da Alessandra Shomroni, in uscita questo mese in Italia con la casa editrice E/O.
 
Con una scrittura diretta, “israeliana”, priva di ogni traccia di sentimentalismo e tentativi di compiacimento, Sarid descrive una società fredda e corrotta, popolata da anime complesse e infelici, profondamente inquinate dall’aria politica che avvolge quotidianamente Israele e il Medio Oriente.
 
Il protagonista de Il poeta di Gaza è un agente segreto dell’intelligence israeliana, torturatore e torturato, privo di nome e d’identità, come richiede il protocollo.
Dopo un “incidente di lavoro” in cui muore un palestinese sotto interrogatorio soffocato dal proprio vomito, l’agente perde completamente il controllo su se stesso assieme alla forza di non vedere ciò che l’anima (anche la più allenata) non è in grado di contenere.
 
Inviato in una nuova missione, inizia a frequentare lezioni di scrittura creative condotte da Daphna, scrittrice, ex attivista politica di sinistra, con lo scopo finale di tirar fuori il vero che c’è in lui, ovvero il poco che è rimasto.
Durante i loro incontri settimanali in un appartamento di Tel Aviv, i due osservatori acuti diventano personaggi chiave in una nuova missione segreta, volta a catturare un terrorista palestinese, lottatore per la libertà, come viene definito da suo padre, un artista palestinese, malato di cancro, amico intimo di Daphna.
 
Atti di violenza contenuta e misurata allo stesso tempo, indigeribile nella sua atrocità, vengono commessi da un’anima poetica, vittima non meno dei suoi avversari in un mondo solitario sopraffatto dalla brutalità.
In un percorso letterario, ritmico ed aggrappante, cammina l’agente sull’orlo della barriera difensiva necessaria per affrontare il male. Lasciato dalla moglie, trasferitasi all’estero insieme al figlio di quattro anni che non ha mai saputo ascoltare veramente, si trova costretto di scegliere chi tradire, chi deludere di meno, costretto a scegliere continuamente una sua verità.
 
Oltre alle storie di spionaggio, il libro, poco usuale nel panorama felice della letteratura israeliana, è un’occasione rara per affacciarsi e prender parte alla competizione maschile tra i vari rami dei servizi segreti, e riflettere per poi scegliere, in una situazione apparentemente senza via d’uscita.
Innegabili complessi di paternità tra personaggi – a partire dalla costante ricerca di una figura paterna per l’agente, attraverso il rapporto col proprio figlio, fino alla complessa relazione tra Daphna e suo figlio sedicenne, utilizzatore di droghe, a contatto con la malavita – accompagnano una storia che non teme di affrontare l’uso brutale che viene fatto dei sentimenti nel mondo dell’intelligence, universo avvolto in misteri gloriosi, rivelatosi spesso grigio, banale e sopratutto tremendamente solitario.
 
Contenuti cruenti addolciti da una storia commovente di chi non perde le ultime tracce dell’umanità anche quando il mondo intorno a lui si rivela un luogo brutale.
Sono i lati meno piacevoli dell’uomo, che danno spesso l’incipit per scrivere – confessa Sarid, figlio dell’ex politico, Yossi Sarid, fondatore del partito laico e socialdemocratico di sinistra Meretz.
 
Ma oltre alla guerra, gli attentati e le operazioni militari, ci troviamo di fronte ad una storia fatta di persone, che permette di affacciarsi all’interno dei seminterrati e delle zone oscure della società israeliana, combattuta tra la voglia di non vedere e la dolente sensazione di impotenza di un’esistenza crudele, che lotta per la speranza della paternità delle sue azioni, di un destino che col passare del tempo sembra sempre più marcato.

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