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Credo sia assurdo farsi dominare così tanto dall’andamento dello spread. Oggi A&G sul Corriere parlano di “unica carta che rimane da giocare (che) è quella della «spending review»”, come se il mondo crollasse se non la attuassimo subito, come se la strategia di rilancio di un paese passasse per singole mosse, per di più emergenziali. Ma no, dai. Il paese ha bisogno di 2-3 anni per rimettersi in piedi con una serie di provvedimenti seri: università diffusa di mille atenei, scuola agganciata al servizio civile nella Pubblica Amministrazione, manutenzione di scuole ed ospedali, turismo e patrimonio artistico, fine dei ritardati pagamenti, giustizia più celere, corruzione intaccata, prigioni nuove e prigioni restaurate, meno contributi a carico delle imprese, lotta all’evasione credibile, sindacati maturi e collaborativi nella P.A., ordine pubblico nel Sud assieme a campi da sport per i giovani, protezione delle piccole imprese nella regolazione, appalti riservati a piccole imprese e, infine, appalti la cui informazione e monitoraggio siano centralizzati per tagliare gli sprechi così da finanziare tutto quanto sopra. Vedi dove crolla lo spread la mattina dopo che annunci credibilmente tutto ciò.
 
Ecco, questa, è l’unica carta da giocare.
 
Per il resto, prendiamo atto che A&G timidamente accennano che forse era la crescita che andava stimolata e che le liberalizzazioni e le riforme di lavoro devono far spazio alla spending review.
 
Pervicacemente si ostinano a non capire cosa sia però la spending review. Forse annuendo all’intervista di Giarda di ieri sulla Stampa, sostengono come non debba essere che si “finisca per concludere che ogni spesa è necessaria perché c’è una lobby che la difende” e poi vanno addosso al Financial Times (onesti sono stati a menzionarlo) perché dice, toh, che va fatta più spesa pubblica.
 
C’è un doppio errore in questo modo di pensare. Primo, una spending review ben fatta (non credo sia quella che abbia in mente Giarda) non può finire per concludere che ogni spesa è necessaria perché per definizione deve individuare gli sprechi e se li individua nessuna lobby può protestare: se quell’ecotomografo costa 100 a Palermo e 200 a Bolzano, si blocca l’appalto di Bolzano fino a quando non converge a quello di Palermo, basta. Il punto fondamentale che la triade Alesina, Giavazzi e Giarda pare non capire è che se non si hanno i dati e se non si obbligano le Amministrazioni pubbliche a comunicarli pena la non validità del contratto, tutto è assolutamente “aria”, “fuffa”.
 
Secondo, perché tagliare gli sprechi una volta individuati non significa tagliare la spesa pubblica: sempre due ecotomografi si comprano, a Palermo e a Bolzano, spendendo 200 invece di 300. Quello che il Financial Times dice è che, risparmiati 100 euro, si compra il terzo ecotomografo. Si da più lavoro alle aziende che lo producono e si danno più servizi ai cittadini, e si esce dalla crisi.
 
Se si volessero usare quei 100 euro per ridurre le tasse, ci si accomodi. Ma in questo momento la gente non spende: le imprese non occuperanno ed il PIL non salirà.
 
La spending review non vuol dire tagliare la spesa, ma riqualificarla. Per fare questo ci vogliono dati, autorità centrale e visione di cosa serve al paese per migliorare il benessere dei cittadini (l’ecotomografo). Per tutto il resto da farsi, mettiamoci a giocare al tavolo nazionale ed europeo, abbiamo tante carte da giocarci (come detto sopra) con politiche intelligenti ed importanti.
 

Quell’unica carta da giocarsi

Credo sia assurdo farsi dominare così tanto dall’andamento dello spread. Oggi A&G sul Corriere parlano di “unica carta che rimane da giocare (che) è quella della «spending review»”, come se il mondo crollasse se non la attuassimo subito, come se la strategia di rilancio di un paese passasse per singole mosse, per di più emergenziali. Ma no, dai. Il paese…

cina

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