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Stavolta l’emergenza e l’urgenza sono state più emergenti e urgenti del solito: i nodi sembrano essere venuti al pettine. Tutti hanno visto che in Italia esiste un debito pubblico colossale, a fronte del quale mancano però infrastrutture e servizi di valore corrispondente ed una capacità di crescita economica adeguata. In parallelo esistono tuttavia patrimoni privati ragguardevoli. A fronte della non lontana insostenibilità del debito erariale, è così arrivato il tempo delle manovre, sulla cui equità ed efficienza si può disputare abbondantemente.
 
In sintesi, l’interrogativo primario che si pone sempre in questi frangenti, e che non è escluso si possa riproporre a breve, si può riepilogare leninianamente in una domanda: che fare? Per rispondere, si può partire dal fondo del problema, cioè dal fatto che la misura del debito è pari esattamente al doppio di quella (teoricamente) consentita dal trattato di Maastricht. E non sembra né disfattista né originale osservare che l’extra-debito è composto da una miscela velenosa, formata da sprechi, corruzione ed evasione fiscale.
 
Questa miscela sembra però avere consentito lo sviluppo di una quantità di forme di vita – i risparmiatori – superiore a quella che sarebbe stata possibile altrimenti. Non pare infatti un’eresia pensare che, salvo casi specifici, che però non formano una massa statisticamente rilevante, i loro patrimoni sono stati formati anche grazie all’extra-debito, che lungi dall’evaporare è andato in parte non trascurabile a sedimentarsi presso molte sedi private, in omaggio alla norma scientifica per cui in natura nulla si crea e nulla si distrugge. Tale fenomeno può essere avvenuto in diverse maniere. Si pensi, ad esempio, alla coppia di coniugi, onesti impiegati nella Pubblica amministrazione, remunerati, indipendentemente dalla loro specifica volontà, in misura eccessiva rispetto alle reali possibilità dell’economia nazionale; oppure al libero professionista che si è trovato nel mezzo di un sistema economico in cui la ricchezza circolava a velocità e in misura estrogenata anche per effetto del debito pubblico.
 
In altri casi, la formazione del patrimonio può avere avuto natura illecita. Ad esempio, quando la sua causa genetica sta nella corruzione o – molto più frequentemente – nell’evasione fiscale (dall’evasione brutale delle imposte sui redditi, al più gentile ”risparmio” dell’imposta di registro attraverso una occultazione parziale del prezzo di trasferimento degli immobili acquistati e dell’Iva sui conseguenti lavori di ristrutturazione, previo accordo bonario con i fornitori). Se così stanno le cose, non sembra del tutto iniquo pensare ad un riequilibrio del sistema, attraverso il trasferimento di una quota della ricchezza privata, in parte cresciuta grazie all’estrogeno, nel calderone erariale. Non essendo infatti praticabile l’ipotesi per cui ogni cittadino si siede di fronte ad un solerte funzionario del Tesoro che, in base ad un algoritmo salomonico, determina la quota di ricchezza asportabile in quanto economicamente connessa con l’extra-debito, un prelievo di tipo patrimoniale, se attuato con modalità adeguate (in primis, la non episodicità), presenta il pregio di colpire necessariamente tutto (o quasi) il patrimonio esistente sul territorio nazionale e, auspicabilmente, anche una parte non trascurabile di quello esistente al di là dei confini.
 
Del resto se lo Stato-nazione riposa sull’archetipo della grande famiglia patriarcale, nell’emergenza la via d’uscita meno iniqua è quella di fare concorrere all’azione salvifica tutti i membri della comunità, residuando nell’inestinguibile area dell’iniquità la proporzione del singolo sforzo individuale. L’imposta patrimoniale presenta, inoltre, in questi particolari frangenti un pregio: dovendo operare retrospettivamente, cioè per colmare un debito che viene dal passato, colpisce ricchezze prodotte proprio nel passato, svolgendo così una funzione perequativa, ben maggiore di quella che accompagna una sovraimposizione dei redditi futuri, che pur avendo il merito di essere generati in una situazione quasi-recessiva, vale a dire nonostante l’extra-debito, vengono colpiti proprio per ripianare questo scompenso. L’optimum sarebbe infatti premiare i nuovi redditi con una riduzione delle relative aliquote fiscali. Volendo essere realisti, non si può ignorare che la classe politica teme più di ogni altra cosa l’impopolarità e quindi, nello specifico, la sgradevole sensazione che consegue al vedere ”pinzata“ una parte, anche piccola, del proprio patrimonio. Per promuovere un’operazione fiscale siffatta sembrano dunque necessari alcuni ingredienti fondamentali: (a) il coraggio di dire la verità sulla situazione e sulla natura parzialmente estrogenata dei patrimoni privati; b) il coraggio di dare l’esempio, accompagnando il prelievo al taglio effettivo e radicale di privilegi e costi inutili delle istituzioni (arrivando ad eliminare anche alcuni stadi istituzionali); (c) dimostrare che il prelievo è utile a fare uscire il Paese dallo stillicidio delle emergenze, il cui effetto principale è quello di privare i cittadini di una prospettiva comune di sviluppo, senza la quale il singolo, in quanto animale politico, vive con grande difficoltà non soltanto la sua dimensione sociale ma anche quella individuale. (Sia poi chiaro, a scanso di equivoci: non basta la sola imposizione patrimoniale a riportare l’equilibrio, ma dovrebbe essere uno dei momenti centrali della prossima politica fiscale).
 
Come è facile intuire, non si tratta di una cosa semplice. Tuttavia, chi conosce veramente la maggioranza del popolo italiano non si sorprenderà (ri)vedendola impegnata in una dura e fattiva opera di ricostruzione. Per dirla con Jung, i politici tendono a proiettare sul popolo le proprie ombre e paure varie, tra le quali alberga quella di perdere anche il minimo privilegio, e, guardando le cose da questa prospettiva, pensano di governare un coacervo di gnomi morali. La mia variegata esperienza umana mi induce a pensare che questa visione potrebbe non essere giusta.
 
Traduzione di Margherita Campo

Elogio (condizionato) della patrimoniale

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