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Per don Gianni Baget Bozzo i movimenti politici avevano una anima. Anima in greco si dice entelecheya, cioè forma (si può dire anche psychè, ma allora vuol dire un´altra cosa). I movimenti hanno una forma che determina ciò che essi possono diventare, il loro destino. L´anima dipende da una serie di evidenze e di opinioni originarie che definiscono la identità propria di un movimento. Da questa forma non è possibile staccarsi senza diventare un´altra cosa, senza perciò perdere la propria anima.
 
Don Gianni condivideva questo modo di pensare la politica con Augusto Del Noce, con Franco Rodano e con don Dossetti. I pensieri di questi quattro protagonisti del pensiero politico italiano del Novecento si intrecciano fra loro in un dialogo che, per quello che mi risulta, nessuno ancora ha ricostruito nella sua interezza. Del Noce ha ricostruito il proprio dialogo con Rodano nel libro Il Cattolico Comunista. Baget Bozzo ci ha lasciato invece la sua resa dei conti con Dossetti nel suo ultimo libro scritto insieme con Pier Paolo Saleri. Del Noce e Baget Bozzo sono assai vicini fra loro nella critica del cattolicesimo di sinistra nella duplice versione dossettiana e rodaniana.
 
Essi divergono invece nella valutazione della esperienza degasperiana e della scelta della unità politica dei cattolici. Baget Bozzo critica da destra la unità politica dei cattolici, e quindi la Democrazia Cristiana, riprendendo una posizione che fu di Gedda e del card. Ottaviani. La unità politica dei cattolici rischia di coinvolgere la Chiesa nelle invidie e nelle divisioni che inevitabilmente genera la gestione del potere. Per di più nella DC dopo il 1953 Dossetti vince su De Gasperi. De Gasperi aveva cercato di assicurare la autonomia della coalizione centrista attraverso una legge maggioritaria. Il tentativo è fallito.
 
Contemporaneamente emerge una destra nostalgica che sottrae alla DC una quantità di voti sufficiente a rendere difficile la formazione di una maggioranza alternativa alla sinistra. Diventa allora necessario staccare i socialisti dalla alleanza con i comunisti e costruire un arco costituzionale di forze abilitate a governare di cui la sinistra fa parte e la destra invece no. Il prezzo culturale di una politica di centrosinistra senza alternative è la subordinazione culturale della DC alla sinistra. I democristiani mantengono la gestione del potere ma cedono alla sinistra la guida culturale della coalizione. Di qui la decadenza democristiana. Il principio della unità politica dei cattolici impedisce che nasca un partito culturalmente alternativo alla sinistra. La alternativa culturale nasce tuttavia, inopinatamente, all´interno della sinistra stessa. È Bettino Craxi.
 
La Prima Repubblica è, in larga misura, la repubblica dei partiti. La nazione, colpevole di avere accettato e subito la dittatura fascista, è tenuta sotto tutela dai partiti. Sono qui, secondo Baget, le radici della partitocrazia e della corruzione del costume politico. Baget si innamora di Craxi perché vede in lui un ritorno alla sovranità della nazione che si emancipa dalla tutela dei partiti. Questo ritorno si coniuga con la apertura di un processo di modernizzazione. La Prima Repubblica aveva tentato di rendere eterna la convergenza fra forze diverse che si era determinata nella lotta antifascista. Adesso la politica si apre ad un processo di modernizzazione e di rinnovamento.
 
Per Baget Bozzo questa rottura segna una liberazione non solo per l´Italia ma anche per la Chiesa. Il dossettismo aveva cercato infatti di imporre a tutta la Chiesa universale la sintesi cattolico-comunista che era per loro il risultato della Resistenza ed il fondamento della Costituzione.
 
Nella prospettiva di Dossetti e della scuola di Bologna il Concilio Ecumenico Vaticano II doveva essere la universalizzazione della formula ideale della (loro interpretazione della) Resistenza. La fine di quella fase politica in Italia portava dunque con sé un sostanziale indebolimento della prospettiva teologica vincente nei primi anni del postconcilio.
 
La scelta di Baget a favore di Berlusconi costituisce la continuazione coerente di quella a favore di Craxi e viene fatta per le stesse ragioni. Del berlusconismo Baget è stato il difensore ed il teorico. Teologicamente Berlusconi era colui che emancipava il popolo cristiano dalla subordinazione ad una èlite culturale dossettiana non popolare ma dominante all´interno del cattolicesimo italiano perché capace di controllare lo snodo decisivo fra impegno ecclesiale ed impegno politico.
Don Gianni è morto prima di essere costretto a fare i conti con la crisi del berlusconismo e con i problemi di una fase nuova della politica e della società italiana. Che bilancio critico possiamo fare noi oggi della sua lezione?
 
Io credo che vada rivendicata la acutezza e profondità della sua lettura del limite culturale della Prima Repubblica e delle cause della degenerazione partitocratica. La crisi del berlusconismo non può significare un ritorno alla Prima Repubblica. Il dossettismo, del resto, nella seconda Repubblica ha vinto e insieme si è suicidato con il trionfo e la crisi dell´Ulivo. Prodi è stato il vero erede e realizzatore del dossettismo e, non a caso, Baget ha visto la politica come duello fra Prodi e Berlusconi ed a questo tema di fondo ha subordinato ogni ulteriore considerazione. Indietro, dunque, non si torna.
 
Non è più possibile, però, chiudere gli occhi davanti ai problemi del berlusconismo, che peraltro erano già affiorati nella esperienza craxiana.
 
La rottura del potere partitocratico è stata pagata con una radicale personalizzazione della politica. La politica si esaurisce nel rapporto fra il leader ed il popolo, mediata dal mezzo televisivo. Adesso quel tipo di politica ha mostrato il suo limite e siamo tutti anche più consapevoli dei suoi pericoli.
 
La fine della partitocrazia non ha significato la fine della corruzione. Al contrario la personalizzazione del potere ha lasciato crescere alla propria ombra un deficit crescente di moralità della politica.
 
Berlusconi ha offerto una soluzione di emergenza alla crisi italiana. Quello che non è riuscito né a lui né ad altri è stata la fondazione di forze politiche di tipo nuovo, fuori del vecchio inglobante dossettiano, laiche ma animate da una forte moralità, capaci di dare al Paese la guida democratica di cui esso ha bisogno.

Un antesignano nella lotta alla partitocrazia

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@giusmorto

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