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Negli ultimi anni il settore delle energie rinnovabili ha vissuto una fase di dinamismo, caratterizzata da una straordinaria crescita degli investimenti, sostenuti da forti politiche governative d’incentivazione. L’Italia, seppur partita in ritardo rispetto ad altri Paesi, ha avuto nel 2010 uno sviluppo molto rapido. Considerando solo gli impianti “utility scale”, l’Irex monitor di Althesys, ha censito oltre 200 operazioni, sia di crescita interna sia di M&A, per 12,3 miliardi di euro e quasi 5,200 Mw di potenza.
In questo quadro, che ha visto sotto i riflettori soprattutto il fotovoltaico, le agroenergie hanno avuto una crescita “silenziosa”, ma non per questo meno importante. Le biomasse, infatti, occupano un ruolo di rilievo nello sviluppo delle fonti rinnovabili nel nostro Paese. Il Pan (Piano di azione nazionale) del governo italiano ne prevede una crescita superiore al 50% al 2020, con oltre 3,800 Mw installati. Stime più ottimistiche arrivano fino ai 7mila Mw (fonte Enea).
 
A fronte di risorse fossili sempre più difficili e costose da reperire, il giacimento da riscoprire sono i campi, cioè l’impiego di prodotti agricoli a fini energetici, le cosiddette agroenergie. Produzione di elettricità e calore da biomasse e residui agricoli e zootecnici, biogas e bioliquidi sono le nuove frontiere per avere energie “coltivabili”, cioè virtualmente inesauribili, riducendo la dipendenza da quelle tradizionali. I progressi tecnologici stanno rendendo questa prospettiva conveniente dal punto di vista economico e sostenibile da quello ambientale e sociale.
In Italia la generazione di energia elettrica da biomasse ha mostrato grande vitalità. Le biomasse (compresi i rifiuti biodegradabili) hanno generato 9,281 Gwh nel 2010 (+22% rispetto al 2009), collocandosi al secondo posto tra le fonti rinnovabili. Le biomasse solide forniscono il contributo maggiore con 1,437 Mw di potenza installata in 78 impianti. Nel segmento del biogas sono censiti 313 impianti con una potenza installata di 209 Mw. Infine, considerando anche gli impianti in progetto (122 per le biomasse solide e 181 per i biogas), la potenza raggiungerebbe i 3,687 Mw (fonte Gse).
 
L’industria delle agroenergie è peculiare rispetto alle altre rinnovabili, poiché è l’unica che impiega combustibile, elemento che costituisce al tempo stesso un vantaggio e un limite. Se da un lato assicura la continuità produttiva che manca a eolico e fotovoltaico, dall’altro comporta difficoltà e rischi di approvvigionamento. Il settore è eterogeneo, caratterizzato da segmenti diversi secondo il tipo di feedstock impiegato e di attività lungo la value chain.
Il comparto è frammentato lungo la catena del valore che va dalla tecnologia e impiantistica, alla produzione di energia, al procurement dei feedstock. L’integrazione fra approvvigionamento del combustibile e generazione elettrica e termica è strategica per abbattere i costi economici e ambientali e assicurare continuità produttiva.
Proprio per questo è crescente la presenza delle aziende agricole e zootecniche, che uniscono le due fasi. Gli impianti, soprattutto piccoli e medi, impiegano colture dedicate, residui agricoli o deiezioni animali provenienti dalle attività tipiche.
 
Ugualmente una sinergia con il proprio core business è la ratio della presenza d’industrie (per esempio alimentari), che valorizzano i propri scarti per generare elettricità e calore, usati poi nei processi produttivi.
La possibilità anche per soggetti di dimensioni ridotte di generare energia elettrica e termica spiega anche la presenza delle Esco. Il comparto è attrattivo anche per le pure renewable, per le quali lo snodo cruciale è il fuel procurement, tanto che puntano ad accordi e integrazioni lungo la filiera.
Un ruolo di rilievo è occupato anche dai fornitori di tecnologia che, in alcuni casi, come ad esempio per i piccoli impianti a biogas, forniscono anche know how e supporto gestionale agli agricoltori. Una categoria a se stante è quella delle local utility attive nel teleriscaldamento a biomassa, favorito dal loro radicamento sul territorio.
In Italia, le agroenergie si stanno sviluppando soprattutto con installazioni di piccola e media taglia piuttosto che con grandi centrali, tipiche dei Paesi dotati di forti industrie agroforestali integrate, come i Paesi scandinavi e il Nord America. Se questo limita le economie di scala, favorisce però una filiera più corta, riducendo i costi economici e ambientali dei trasporti e permettendo un’effettiva sinergia tra produzione energetica e attività agricole.
 
Le agroenergie più di altre rinnovabili cambiano, dunque, il paradigma energetico tradizionale, sviluppando una generazione distribuita, con una marcata impronta locale e legami con il territorio. La dimensione ridotta degli impianti favorisce l’integrazione con le attività agricole e li rende più socialmente accettabili, superando le resistenze che frenano la realizzazione delle grandi centrali. Per queste ragioni le agroenergie in Italia possono essere considerate, più di altre fonti, una vera e propria filiera e si può parlare di un “modello italiano”.
Le ricadute per il Paese, come ha evidenziato il survey dell’Osservatorio agroenergia di Althesys, sono importanti. Nel complesso si stima un beneficio netto per l’Italia di oltre 20 miliardi di euro con un rapporto di 1 a 4 tra costi e benefici. Apprezzabili sono le ricadute occupazionali, con una stima degli addetti di circa 25mila unità. Allo stesso tempo stiamo assistendo alla nascita di una filiera che è in larga parte italiana, per tecnologia e occupazione.
In conclusione, le agroenergie sono un’opportunità di sviluppo e il modello italiano, basato su una generazione diffusa e un forte legame con il territorio, sembra poter creare valore condiviso lungo la filiera.

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