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Nel 2050, secondo le proiezioni delle Nazioni Unite, la popolazione mondiale supererà i 9 miliardi di abitanti: in misura più che proporzionale aumenteranno i fabbisogni alimentari. Con il crescente benessere, aumenteranno le calorie pro-capite consumate e gli stili di consumo si orienteranno sempre più verso le proteine animali, determinando un consumo maggiore di carni. Aumenterà di conseguenza la produzione dei mangimi per l’allevamento: rispetto ad oggi, occorrerà produrre ogni anno un miliardo di tonnellate di cereali e 223 milioni di tonnellate di carni in più. Contemporaneamente, il miglioramento della qualità della vita in alcuni Paesi in via di sviluppo, comporterà maggiori consumi di energia e costringerà a una più intensa ricerca di nuove fonti, in presenza di una sempre più scarsa disponibilità di combustibile fossile.
La sfida del futuro, che deve essere affrontata con urgenza, sta nel coniugare le esigenze produttive a scopo alimentare con quelle di fonti alternative di energia in grado di fronteggiare la domanda mondiale nel rispetto della compatibilità ambientale.
 
Oggi, oltre l’81% della produzione di energia del globo proviene da fonti fossili. Le proiezioni dell’Agenzia internazionale europea dicono che nel 2030, anche attuando una politica di stabilizzazione delle emissioni di gas serra, quasi il 70% dell’energia richiesta continuerà a derivare da petrolio, carbone e gas naturale. Abbiamo invece bisogno di ridurre drasticamente questo dato e operare per una diversificazione delle fonti energetiche; questo è tanto più vero per l’Italia e per due ordini di motivi: innanzitutto perché l’Italia aderisce all’obiettivo politico europeo di contenimento delle emissioni di gas serra e quindi è impegnata con precisi target di sostituzione delle fonti non rinnovabili; in secondo luogo, perché il nostro Paese ha una bilancia commerciale fortemente deficitaria a causa dello sbilancio sul fronte dell’import energetico.
La bilancia commerciale italiana dell’energia ha infatti un deficit che negli ultimi tre anni ha oscillato tra i 40 e i 60 miliardi di euro (nel 2008 l’import di energia ha toccato i 76 miliardi di euro, il 5% del Pil).
 
Nel 2010 abbiamo avuto un saldo negativo per 51 miliardi di euro. Praticamente, senza questo ammanco, il saldo import-export di tutte le partite commerciali italiane – salvo appunto quelle energetiche – sarebbe stato positivo per quasi 24 miliardi di euro. Invece abbiamo un deficit, includendo l’energia, di 27 miliardi: un valore analogo a tutto l’export agroalimentare nazionale e corrispondente al 2% del Pil.
Poiché il nostro territorio non offre opportunità di indagare su nuove fonti energetiche primarie, è opportuno pensare a una diversificazione sulle “rinnovabili” anche per diminuire la dipendenza dall’estero e favorire l’autoapprovvigionamento.
Il provvedimento del governo ha riaperto il dibattito sulle rinnovabili. Il rischio è che si debbano presto riproporre nuove iniziative legislative, quando invece per raggiungere gli obiettivi posti dall’Unione europea avremmo bisogno di un quadro normativo stabile e certo.
 
Le ben note novità sul fotovoltaico, che porteranno a una ridefinizione delle tariffe in conto energia, sono decisamente in controtendenza rispetto a quelle che erano, e che sono, le esigenze degli operatori del settore delle rinnovabili che, seppur cresciuto velocemente, ha bisogno di un adeguato sistema di incentivazione per potersi consolidare e per arrivare a una filiera industriale italiana.
Se da una parte è opportuno far sì che le rinnovabili non gravino eccessivamente sul consumatore, è parimenti vero che per arrivare, già nel 2017, alla coincidenza del costo del kWh fotovoltaico con il costo del kWh prodotto da fonti convenzionali, occorre innanzitutto tutelare e rilanciare le iniziative imprenditoriali.
Investire in ricerca e sviluppo per il nostro Paese è prioritario. In modo particolare è importante per le biomasse, il biogas, i bioliquidi, in tutte le diverse forme di trasformazione energetica, ma soprattutto per la componente elettrica la cui efficienza dovrà essere sempre più migliorata.
 
In tale direzione, sono sicuramente positive le previsioni contenute nel decreto legislativo che prevede interventi e misure per lo sviluppo tecnologico e industriale in materia di fonti rinnovabili ed efficienza energetica. Particolare attenzione viene dedicata alla gassificazione e alla pirogassificazione di biomasse, ai biocarburanti di seconda generazione.
A prescindere dalla forte criticità per gli impianti fotovoltaici, è dunque accettabile l’impostazione dello schema di decreto legislativo che recepisce la direttiva 2009/28/Ce per quanto riguarda gli impianti a biomasse, biogas e bioliquidi nell’ambito della microgenerazione. In tale contesto, l’agricoltura nazionale può ambire ad avere un ruolo di primo piano rispetto agli obiettivi nazionali di sviluppo delle energie rinnovabili. Il solo comparto agricolo può fornire, tramite l’energia da biomasse, almeno 3 dei 17 punti percentuali richiesti all’Italia dalla direttiva 20-20-20.
 
I risultati sono già visibili nella filiera biogas: si stima che negli ultimi ventiquattro mesi gli imprenditori italiani abbiamo avviato investimenti per circa 200 Mw, per un importo complessivo pari a circa 1 miliardo di euro. Va ancora valutata positivamente l’incentivazione del biometano, sia in relazione allo sviluppo delle reti del gas naturale che consentirà di collegare gli impianti di biometano, sia per la previsione di un incentivo dedicato al biometano immesso in rete o trasformato in impianti di cogenerazione ad alto rendimento. Altrettanto apprezzabile è il potenziamento del sistema di incentivazione della produzione di energia termica e dell’efficienza energetica.
Dal momento che l’Italia ha degli obiettivi ambiziosi al 2020, non solo in ambito elettrico, ma anche per la produzione di calore e biocarburanti, l’utilizzo del biometano in impianti di cogenerazione ad alto rendimento e nell’autotrazione potrà dare un significativo contributo con una filiera tutta italiana.

Potere bio

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