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Le polemiche scoppiate all’interno del centro destra a Roma nel trio Berlusconi-Salvini.Meloni sul candidato Sindaco, ripropongono la questione del metodo attraverso cui scegliere il candidato comune alle prossime elezioni comunali.

Con la fine dei partiti della Prima Repubblica sono prevalsi movimenti e partiti di tipo personalistico, monocratico e a scarsa se non nulla partecipazione democratica.

Quello che un tempo, ancorché deciso davanti a un “caminetto” , era il risultato di dibattiti e discussioni ex ante o ex post in organismi legittimati come le direzioni e i consigli nazionali dei partiti, si riducono adesso, nel passaggio traumatico dalla seconda alla terza repubblica, a decisioni concordate tra i capi e/o capetti delle residue forze politiche senza più solide culture di riferimento.

Se l’orizzonte fosse limitato al cinquanta per cento residuale che continua ad andare a votare i giochi e i giochetti tra i soliti noti potrebbe ancora funzionare, ma se si intende coinvolgere quel cinquanta per cento che da tempo ha scelto di non partecipare al voto, la musica dovrebbe cambiare.

“Non c’è più trippa pé i gatti” dirette il nostro simpatico e rimpianto Franco Evangelisti, braccio destro di Giulio Andreotti nella DC che fu.

Continuare a decidere tra Arcore e Palazzo Grazioli i candidati del centro destra da Milano a Roma, non può che produrre i corto circuiti evidenziatisi in questi giorni nel caso della candidatura del pur ottimo Guido Bertolaso a Roma.

In assenza di partiti politici espressivi di autentiche e radicate culture politiche e di reali rappresentanze di ceti e classi sociali presenti nel Paese, con un sistema che dalle elezioni comunali all’infausto Italicum si va sempre più orientando verso un bipartitismo senza basi politiche consistenti, è evidente che in assenza di consensi seriamente condivisi, l’unica strada da percorrere rimane quella delle elezioni primarie o “cittadinarie” come noi le avevamo progettate nelle ultime elezioni per il rinnovo del consiglio comunale di Venezia.

A Roma, dove alcune componenti dell’area moderata, Passera e Quagliariello in primis si sono orientate sulla candidatura di Alfio Marchini, e quelle ormai consolidate del trio Berlusconi-Salvini e Meloni su Bertolaso, con l’ultima retromarcia del leader leghista su Guido Bertolaso, a maggior ragione la scelta delle cittadinarie si imporrebbe come quella più opportuna per superare lo stallo in cui si è giunti.

Ovvio che ciò che andrebbe fatto a Roma si dovrebbe pure sperimentare a Milano e nelle altre realtà in cui si andrà a votare alle prossime elezioni amministrative.

Finita l’epoca delle leadership popolari carismatiche, tanto cara al Cavaliere e al “ giovin signore fiorentino”, se si vuole recuperare la partecipazione e il consenso del ceto medio produttivo e di quanti tra i diversamente tutelati (tanto per utilizzare la mia euristica teoria dei quattro stati) intendono tornare ad esprimere il loro voto, non esiste altra strada che quella della presentazione di candidature da sottoporre al giudizio preventivo dei cittadini elettori che si riconoscono negli interessi e i valori delle forze politiche coalizzate.

Questo è quanto anche noi popolari intendiamo offrire agli amici interessati a battersi per un’alternativa al socialismo trasformista renziano e ai suoi tentacolari interpreti dei missi dominici indicati nelle diverse realtà locali del voto.

Solo così, a Roma come a Milano con il giovane Nicolò Mardegan e la sua lista di giovani appassionati e amanti della loro città, espressione di una rinnovata ed emergente classe dirigente meneghina, si potranno favorire nuove leadership sostenute non dalle mire di autoconservazione dei potenti declinanti, ma espressive dell’autentica sovranità popolare.

Ettore Bonalberti

www.alefpopolaritaliani.ei

www.insiemeweb.net

www.don-chisciotte.net

 

Perché a Roma e Milano servono cittadinarie di centrodestra

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bollorè

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