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Le feste di capodanno blindate nelle capitali europee e l’allarme kamikaze a Monaco di Baviera ci rammentano il rischio con cui dovremo convivere nel 2016. Come ha sottolineato nel suo messaggio di fine anno il presidente Mattarella, “il terrorismo fondamentalista cerca di portare la sua violenza nelle città d’Europa”. Se, per usare le parole del Capo dello Stato, i jihadisti mirano ad “impaurire e condizionare” il nostro stile di vita, non si può che ammettere il loro parziale successo. Ben viva in tutti noi è la memoria dei 130 morti di Parigi e del proditorio attacco, dieci mesi prima, alla redazione di Charlie Hebdo, la cui vena libertaria lo aveva reso un obiettivo predestinato.

Anche noi italiani abbiamo pagato un tributo di sangue: con la giovane ricercatrice Valeria Solesin, caduta sotto il fuoco del commando del Bataclan, e i quattro connazionali abbattuti il 18 marzo al museo del Bardo di Tunisi. Siamo nel mirino del terrorismo per più motivi: per la nostra appartenenza a quel mondo occidentale considerato dagli islamisti terra della miscredenza e della depravazione, per la presenza della Santa Sede, ma soprattutto per la partecipazione ad un sistema di alleanze che collide inesorabilmente con le mire espansionistiche del califfato. Pur non essendo impegnata nei combattimenti contro lo Stato islamico, l’Italia contribuisce dietro le linee allo sforzo della coalizione a guida americana. Se ciò già espone il nostro territorio nazionale alla rappresaglia delle invisibili truppe avversarie, il rischio sarà presto incrementato dalla missione di pace in Libia.

Da poco ratificato in sede ONU, l’accordo siglato tra le fazioni rivali di Tobruk e Tripoli dovrà essere tutelato, oltre che dalla sfiducia delle stesse parti, da una presenza jihadista che ha fatto radici nella terra di nessuno che si snoda intorno a Sirte. Qui le bandiere nere sventolano da mesi per esplicita volontà di Abu Bakr al Baghdadi, nel cui calcolo la Libia rappresenta tanto un territorio da annettere al califfato quanto un possibile ripiego in caso di caduta delle roccaforti siro-irachene. Indipendentemente dalle pressioni degli Stati Uniti, che stanno esternalizzando la difesa delle periferie del sistema occidentale, l’Italia non può che ritagliarsi un ruolo di prima fila in una missione che, oltre a mettere in sicurezza la sua quarta sponda, dovrà salvaguardarne gli interessi energetici.

La prospettiva del dispositivo militare italiano a contatto con le milizie jihadiste è stata sviscerata più volte su Formiche.net. La si poteva intravedere anche sullo sfondo delle parole del Capo dello Stato, che ha evidenziato il “grande impegno” della nostra Polizia e dei servizi di sicurezza nel “difendere la tranquillità della nostra vita”. Mattarella ha anche evidenziato però ciò che resta da fare per assicurare un’efficace prevenzione: la condivisione a livello europeo di “risorse, capacità operative, conoscenze e informazioni”. Rafforzare la collaborazione tra le intelligence e i corpi di polizia dei Paesi UE è una priorità assoluta in un’era in cui il terrorismo è dotato di passaporto Schengen e, come ha dimostrato a Parigi lo scorso 13 novembre, opera e colpisce a livello transnazionale.

Mattarella

La Libia sullo sfondo del messaggio di Mattarella

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