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La speranza in un profondo mutamento di rotta dell’Unione Europea ha i contorni di tre leader progressisti dal profilo brillante e dinamico, dall’immagine ottimista e accattivante.

Sorridenti e affabili nel palco della Festa dell’Unità di Bologna, Matteo Renzi, Manuel Valls e Pedro Sanchez Castejon sembrano aver restituito slancio al mondo democratico e socialista del Vecchio Continente. Al punto di conferire all’abbinamento di camicia bianca e pantaloni la valenza politica di un messaggio vincente.

Per capire fino a che punto siano fondate le aspettative riposte in queste figure Formiche.net ha interpellato il giornalista e scrittore Sergio Soave, firma del Foglio, di Avvenire e di Italia Oggi.

Il socialismo liberale incarnato da Manuel Valls può convergere con le radici democratico-cristiane di Matteo Renzi in un terreno di riforme economiche?

Non chiamerei affatto liberale il socialismo francese in cui il primo ministro di Parigi è immerso. Nella tradizione della gauche d’Oltralpe il termine “liberale” è percepito come un insulto politico, e indica il più bieco capitalismo privo di sensibilità sociale. È quello l’humus culturale di una personalità che, sfidando la sua stessa formazione, è chiamato a fare pulizia negli sperperi della spesa pubblica francese. Comparto che invidia poco all’Italia. Ma ciò che conta è altro.

Qual è il punto discriminante tra i due?

La condizione politica nella quale vivono e operano. Renzi ha stravinto le elezioni europee, mentre il Partito socialista francese le ha perse nettamente. E oggi può contare su un terzo dei voti rispetto al Pd. L’ex sindaco di Firenze può dunque gestire il grande consenso esistente per promuovere riforme impopolari.

E Valls?

Il capo del governo di Parigi deve realizzarle tentando di farle apparire come il tentativo di recupero di una mentalità socialista che si è insabbiata in miti come la fallimentare legge sulle 35 ore lavorative. Un totem eguale a quello della sinistra italiana: l’Articolo 18.

Quanto conta avere un Presidente della Repubblica in caduta verticale di popolarità come Francois Hollande a fronte del robusto appoggio e costante incoraggiamento di Giorgio Napolitano?

Vi è innanzitutto una rilevante differenza nell’architettura istituzionale. Il Capo dello Stato francese ha responsabilità di governo, soprattutto quando coincide con la forza politica prevalente nell’Assemblea Nazionale. Il paradosso è che il Partito socialista detiene la maggioranza assoluta in Parlamento pur essendo crollato al 13 per cento nel consenso popolare. Giorgio Napolitano non è tecnicamente responsabile delle scelte politiche del governo, ma conserva un ruolo di arbitro delle vicende politiche attribuito a furor di popolo dal Parlamento con la sua rielezione al Quirinale.

E la differenza politica?

Francois Hollande tenterà di giungere faticosamente al termine del mandato con la certezza di essere travolto dalla destra. Non tanto quella gollista, ma lepenista. E ha scelto un punto di appoggio popolare come l’ex ministro dell’interno Valls. Napolitano attende il compimento del percorso riformatore elettorale e costituzionale per abbandonare l’incarico.

Riscontra analogie tra Matteo Renzi e Pedro Sanchez Castejon?

Al pari di José Luis Rodriguez Zapatero, Sanchez Castejon è il frutto dell’accordo tra i baroni del Partito socialista operaio spagnolo. Presenta un bell’aspetto, ma al contrario del leader del Pd non si è imposto proponendo la rottamazione dell’apparato. È stato messo lì da coloro che dovrebbero essere azzerati politicamente. Figure legate a continui scandali come la gestione della cassa integrazione finalizzata a finanziare politici e sindacati.

Zapatero però ha governato per 8 anni.

Certo, pur compiendo mille errori. Potrebbe capitare anche al nuovo leader del Psoe, che ha competenze economiche ma è privo di esperienza politica. L’unica sua scelta rilevante è stata quella di scagliarsi contro le esplorazioni per la ricerca energetica nelle isole Canarie volute dal governo popolare. Negli stessi giorni Renzi decideva che il governo nazionale ha l’ultima parola su trivellazioni e produzione di gas e petrolio, per vincere l’opposizione di regioni ed enti locali.

Il segretario socialista iberico parla di industrializzazione e investimenti pubblici. Ci sono novità?

Richiama Mao Tse-Tung quando evocava la creazione di una fonderia per ogni cortile della Cina. L’economia della Spagna è basata su mattone e turismo. La manifattura contribuisce al Prodotto interno lordo per 20 punti percentuali in meno rispetto al nostro paese. E tende a ridursi, concentrandosi nei settori più avanzati sul piano tecnologico, a causa della concorrenza cinese e orientale sul costo del lavoro. Per tutto ciò ritengo che Sanchez Castejon assomigli molto più a Nichi Vendola che a Renzi.

I tre leader euro-socialisti potranno ripercorrere le orme riformatrici di Tony Blair e Gerhard Schroeder?

Tutto è possibile una volta giunti al governo. Ricordo che Schroeder, prima di arrivare al potere, era un importante esponente regionale della Spd guidata da Oskar Lafontaine. Espressione della socialdemocrazia tra le più ortodosse e dogmatiche di sempre. Felipe Gonzales conquistò la leadership del Partito socialista spagnolo promuovendo un referendum contro l’adesione alla Nato. Adesione che chiese di appoggiare una volta salito al governo.

Renzi, Valls e Sanchez Castejon riusciranno a far cambiare rotta all’Unione Europea egemonizzata dall’austerità cara alla Germania?

Fino a quando all’economia tedesca converrà la strategia comunitaria del rigore finanziario assoluto – grazie al quale i cittadini degli altri Stati europei continuano a sostenere le esportazioni di Berlino – tutti i partiti della Germania appoggeranno gli interessi nazionali. Compresi i socialdemocratici. Esattamente il contrario dell’Italia, in cui per dare contro al governo l’opposizione osteggia l’interesse collettivo.

Non vi sono spazi per un effettivo mutamento?

Il punto è se tale linea continuerà a risultare positiva per Berlino. Vi sono sintomi che fanno capire non sia così, a causa di un  meccanismo tutto sbilanciato sulle esportazioni. Marchingegno  che si sta inceppando e su cui la Germania dovrà ragionare seriamente.

L’alleanza di intenti tra i leader euro-socialisti potrà incidere a livello europeo?

I rappresentanti progressisti presenti sul palco di Bologna erano uniti come Silvio Berlusconi e Angela Merkel. L’unità della sinistra continentale è come quella della destra. Un unico elemento accomuna oggi Renzi, Valls, Sanchez Castejon e in parte Edward Milliband, i cui problemi derivano non dall’appartenenza all’Euro-zona bensì dall’imminente referendum scozzese che rischia di non mandare più il Labour al governo.

Qual è il fattore unificante?

Nel confronto di politiche economiche tra Stati Uniti e Germania i leader democratici e socialisti delle realtà latine europee sempre più affini stanno dalla parte dell’America di Barack Obama. E delle sue strategie espansive.

L'intesa fra Renzi, Valls e Sanchez è basata molto sulla fuffa. Parla Sergio Soave

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