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Grazie all’autorizzazione del gruppo Class editori pubblichiamo il commento di Domenico Cacopardo apparso su Italia Oggi, il quotidiano diretto da Pierluigi Magnaschi.

Parliamoci chiaro: delle cosiddette riforme, a Matteo Renzi non importa nulla. Non importa se il documento presentato dall’inesistente Marianna Madia non riforma alcunché; non importa se la ministra degli esteri («Mogherini, chi?») sia incartata sulla questione Marò che, alla fine, si risolverà a danno dei Marò medesimi e dell’immagine dell’Italia dei «Boy-scout»; non gli importa se la legge anticorruzione risulterà inefficace come tutte le leggi adottate sul fronte penale senza affrontare la (più difficile) questione della prevenzione mediante nuove procedure amministrative; non gli importa se il ministro Lupi risponde con l’inazione agli scandali Expo e Mose, senza provvedere, per quest’ultimo, alla «due diligence», al commissariamento del Magistrato alle acque e al commissariamento (proposta) delle aziende del Consorzio Venezia Nuova e di quelle dell’Expo. Hanno operato in modo fraudolento per ottenere e gestire gli appalti, le si lascia continuare per il noto demone-alibi dell’urgenza.

LA POLITICA PRIMA DI TUTTO

Non gli importa se la riformetta del lavoro deve essere portata a termine, né se il ministero della difesa è senza direttive né direzione. Insomma, gli interessa solo la politica e, quindi, la riforma (ma c’è un’idea vera di riforma?) del Senato, la riforma elettorale (il giorno dopo l’approvazione delle due leggi, condurrà il Paese al voto, c’è da scommetterci) il controllo del partito e dei gruppi parlamentari, le relazioni con Berlusconi, la gamba zoppa da cui ha un incerto appoggio. Che la sua politicità funzioni, lo dimostra l’ultima evoluzione del duo Grillo&Casaleggio che si sono detti disponibili a confrontarsi sulla legge elettorale: il risultato delle europee e quello delle amministrative li avevano portati all’isolamento, alla chiara sensazione di un futuro marginale. Certo, di errori ne hanno commessi a manciate, scambiando la politica per uno spettacolo mistificatorio e gli italiani per degli immaturi alla mercé di chiunque fosse tanto spregiudicato (come loro) da bersagliarli di propaganda nazistoide. Del resto, l’ultimo, inaudito attacco a Gad Lerner dovrebbe suggerire a Renzi una netta presa di distanze dal piccolo Goebbels e dall’hitlerino ligure.

LE PRIORITA’ DI RENZI

Ma la politica che ha in testa il nostro premier ha altre priorità: sa bene che non c’è terreno d’incontro con il Movimento 5 Stelle, ma sa anche che, se rifiutasse l’incontro, darebbe ossigeno al boccheggiante comico politicante. Apprestiamoci, dunque, ad assistere a un nuovo spettacolo in streaming, che smentisce di per sé la stupida sceneggiata del confronto Renzi-Grillo («Non ti faccio parlare!» urlò Beppe quella volta) alla vigilia della composizione del governo e mostra, di fronte alla Nazione, l’inconsistenza politica e l’insicurezza psicologica dei leader del Movimento.

L’EVOLUZIONE DEL PD

E apprestiamoci anche ad assistere a una nuova fase dell’evoluzione del Pd. L’elezione di Matteo Orfini alla presidenza del partito, infatti, è un’innovazione totale rispetto al passato. E non (solo) per la giovane età nel neopresidente, ma soprattutto per la sua storia politica tutta trascorsa nella vicinanza culturale, politica e affettiva a Massimo D’Alema, di cui è stato segretario politico dal 2006 al 2008 (governo Prodi2). Una vicinanza che gli ha permesso di metabolizzare i canoni del realismo e del pragmatismo, la migliore eredità di Togliatti, rispetto al cupo integralismo di Berlinguer. Quei canoni che permisero al partito comunista di collaborare col governo Badoglio prima e poi con quello De Gasperi dell’immediato dopoguerra, e di rimanere colonna portante di quella prima Repubblica che ora esecriamo, dimenticandone i frutti positivi.

È, quindi, la Politica, di cui Matteo Renzi si sta mostrando istintivo interprete, che ci permetterà di fare i conti col passato e di perseguire una via di allineamento europeo. Non altro.

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