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Ogni anno nel mondo più di un miliardo di tonnellate di prodotti alimentari ancora commestibili finiscono in discarica. In Europa e nel Nord America ad esempio venditori e consumatori gettano nella spazzatura una quantità di cibo paragonabile all’intera produzione alimentare netta dell’Africa sub-sahariana.

I dati commentati di un recente sondaggio, le responsabilità, e una possibile via d’uscita in una conversazione con Gregorio Fogliani, Presidente di Qui Foundationla Onlus sostenuta da QUI! Group, la società operante nel settore dei titoli di servizio per il welfare aziendale.

Secondo i risultati di un recente sondaggio di Swiss Re sulla percezione dei rischi in Italia il nostro Paese è al primo posto tra i paesi industrializzati a temere per l’approvvigionamento di cibo tra vent’anni. Quali rischi si corrono?
Siamo ancora distanti da realtà come quelle Africane, dove “morire di fame” è la quotidianità. Non bisogna però credere che il mondo occidentale sia esente dai problemi legati all’approvvigionamento di risorse alimentari.
L’Italia è un paese prevalentemente agricolo, stento a credere che le risorse alimentari possano scomparire dall’oggi al domani. Quella che però va sviluppata è la Cultura del Rispetto: rispetto per le risorse ambientali, rispetto per il cibo, insomma, rispetto per il prossimo. È sulla base di questo semplice principio che opera la QUI Foundation. In quest’ottica è fondamentale, in Italia come nel resto del mondo, sensibilizzare la collettività, educarla ad usare con responsabilità le risorse primarie di cui si dispone.

Chi ha maggiore responsabilità?
Il genere umano getta ogni anno in pattumiera 1,3 miliardi di tonnellate di prodotti ancora perfettamente commestibili, per un valore stimato di oltre 100 miliardi di euro, una quantità sufficiente per ridurre a zero il numero di persone (oggi un miliardo) che soffrono la fame. E la responsabilità degli sperperi è equamente divisa tra i Paesi industrializzati e quelli in via di sviluppo, rispettivamente 670 e 630 milioni di tonnellate di alimenti, con cause tuttavia profondamente diverse per i due contesti.

Secondo il sondaggio gli italiani temono di non avere accesso a cibo sufficiente ma hanno dimostrato di avere la percentuale più bassa di persone che soffrono la fame. Cosa ne pensa?
Nessuno deve morire di fame. Bassa o alta che sia la percentuale di indigenti nel nostro Paese, l’impegno rivolto alla lotta contro la fame dev’essere di tutti e ognuno di noi. Piccoli gesti di cura, solidarietà ed attenzione quotidiana, certamente non cambieranno il mondo, ma possono di sicuro essere un buon punto di partenza, un concreto esempio del corretto uso delle risorse che, se ben utilizzate, favoriscono anche chi non ne dispone. Il Progetto Pasto Buono di Qui Foundation (che nel 2013 ha donato 100.000 pasti buoni) vuole andare proprio in questa specifica direzione.

La fame è principalmente conseguenza della povertà. Tra coloro che non hanno accesso a cibo sufficiente, il 52% lamenta come ragione principale la mancanza di soldi. Il 45% ha dichiarato che la mancanza di denaro ha impedito loro di ottenere cibo sano. Costi elevati ed alimentazione sana sono un connubio imprescindibile?
Recenti studi ben evidenziano che in Italia il 5% della popolazione vive in situazione di “povertà assoluta” e il 13,1% vive in una situazione di “povertà relativa” (sono tutti coloro che possono spendere per i consumi meno della metà della spesa media). Accanto a queste categorie ne esiste una terza, quella degli “impoveriti”, ovvero delle persone che non sono computabili statisticamente tra i poveri, ma che hanno visto, nel corso degli anni di crisi, modificarsi la propria condizione economica in termini peggiorativi e che rischianodi cadere improvvisamente sotto la linea della povertà. Il dato preoccupante è che, dai dati raccolti e diffusi da Eurosat, la percentuale della popolazione italiana a rischio di povertà risulta essere del 20% della popolazione. In pratica, 1 italiano su 5 sarebbe in questa situazione: non povero, ma fortemente impoverito.

Cosa si può fare per i nuovi poveri?
Queste nuove forme di povertà colpiscono in primo luogo la famiglia, soprattutto nei grandi centri urbani, dove il costo degli affitti e dei servizi in genere è più alto. Servono quindi interventi nuovi e urgenti ad ampio raggio per contrastare il dilagare di un fenomeno che purtroppo è in crescita. Anche dal punto di vista alimentare, è importante intervenire con modalità flessibili e innovative capaci di rispettare la dignità della famiglia e sostenerla nella quotidianità dei suoi bisogni. Considerata la necessità di contrastare più decisamente il fenomeno degli enormi sprechi di cibo vanno favorite con speciale attenzione, e opportunamente sostenute, quelle iniziative che consentono di intervenire in maniera mirata e puntuale in tale ambito, con strumenti normativi che procurino benefici concreti per le famiglie bisognose, gli esercenti e la società.
Ovviamente in questo modo sarà possibile garantire a molti un’alimentazione sana anche con risorse finanziarie limitate. È una questione di educazione, quotidiana sensibilità e continua formazione.

La maggioranza ritiene che sia lo spreco di cibo, e non la povertà, la ragione principale della carenza di cibo in Italia. E’ d’accordo? Come si può intervenire?
Lo spreco di cibo è un problema maggiore della carenza di cibo in Italia come nel resto del mondo. Per comprenderlo basta citare un dato: in Europa e nel Nord America venditori e consumatori gettano nella spazzatura una quantità di cibo in perfette condizioni che è paragonabile all’intera produzione alimentare netta dell’Africa sub-sahariana.
Perdite e sprechi alimentari, inoltre, comportano costi economici e sociali elevatissimi perché significano anche un enorme sperpero di risorse come acqua, terra, energia, manodopera e capitale.
In Italia secondo la Coldiretti finiscono in discarica ogni anno oltre 10 milioni di tonnellate di alimenti, per un valore di 37 miliardi di euro, che basterebbero per nutrire 44 milioni di persone.

Da cosa sono costituiti gli sprechi?
Oltre agli sperperi derivanti dall’eccesso di acquisti generici, che in Italia ammontano a circa il 30%, quasi il 25% degli sprechi è costituito da prodotti scaduti o da cibo invenduto/andato a male che non si riesce a utilizzare a causa di carenze logistiche e della mancanza di comunicazione tra i diversi settori della catena alimentare. E’ interessante notare che un’altra causa rilevante degli sprechi, pari a circa il 25% del totale, è l’eccesso di acquisti per offerte speciali (le cd. campagne del 3×2). Ciò significa che queste spese spesso e volentieri non si traducono in un consumo effettivo perché non corrispondono a un reale bisogno.
È fondamentale insegnare che gettare via cibo senza motivo è inaccettabile, soprattutto al cospetto di tanti bisogni non soddisfatti e di un numero sempre più crescente di nuovi poveri. Porre fine a questo spreco e recuperare i pasti che altrimenti andrebbero buttati, nonostante il loro perfetto stato, può e deve diventare un obiettivo di tutti.

Numeri e ricette per non sprecare cibo

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