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La crisi ucraina dimostra una dinamica di conflittualità, ma anche di alleanza tra tre grandi attori strategici dello spazio europeo: Gran Bretagna, Germania e Russia. Mentre Londra e Berlino denunciano con forza l’annessione della Crimea, la cessione del ramo DEA (esplorazione di idrocarburi) al gruppo guidato dal magnate russo Fridman da parte della tedesca RWE per la cifra record di 7,1 miliardi di euro svela il contenuto dialettico del triangolo strategico.

IL RUOLO DI “LONDONGRAD”
Negli ultimi due anni (2012-2013) i gruppi russi hanno realizzato fusioni e acquisizioni per 181 miliardi di dollari, in gran parte transitati da Londra. Il progetto di riorganizzazione della joint venture petrolifera TNK-BP è stato valutato 55 miliardi (al termine del quale BP è rimasta in controllo del 20% di Rosneft) ed è passato tra le mani di case finanziarie britanniche come Barclays e Rotschild. D’altra parte, l’investimento estero in Russia (o il re-investimento di tipo “round-up”, cioè attraverso veicoli finanziari speciali appartenenti agli stessi russi) offre un rendimento di sei punti superiori alla media mondiale, il che spiega l’interesse, l’attrattività ma anche la rischiosità e l’opacità del mercato russo per gli investitori esteri.
D’altronde, già nel 2010 due giornalisti inglesi pubblicarono un libro intitolato significativamente “Londongrad: from Russia with cash”. E anche se Forbes calcola che gli investitori russi abbiano uno stock di “solo” 27 miliardi di sterline di investimenti in Gran Bretagna, è chiaro che il totale non tiene conto degli investimenti russi sulla piazza di Londra, che passano però formalmente e per motivi fiscali da Olanda, Cipro, Lussemburgo o British Virgin Islands.

CAPITALI RUSSI A TRAZIONE ATLANTICA
In pratica i gruppi minerario-energetici russi utilizzano spesso e volentieri Francoforte, Londra (e i paradisi fiscali a questa riconducili) come base di insediamento e potenziale avamposto sul fronte della competizione rispetto ai rivali americani e cinesi. Questa dinamica richiama il contenuto atlantico della relazione triangolare anglo-russo-tedesca, in contrapposizione ad un possibile “ordine pacifico”o G2 sino-americano. Al centro di questa trama geopolitica è notoriamente Gazprom, capofila del consorzio del gasdotto Russia-Germania Nord Stream (insieme a Wintershall ed E.On, oltre che l’olandese Gasunie e la francese Gdf-Suez): il colosso energetico russo partecipa ad alcune società di distribuzione del gas in Germania insieme a Wintershall, società energetica del gruppo chimico BASF che a sua volta è molto presente nell’esplorazione del Mare del Nord e che ha siglato un accordo di swap di asset proprio con Gazprom lo scorso dicembre.

INTRECCI ANGLOTEDESCHI
Dopo l’apertura del decennio di Tony Blair, con la sua accelerazione ideologica verso Bruxelles, siamo entrati nella fase in cui assume rilievo geopolitico e non più solo retorico l’orientamento europeo dell’economia britannica, espresso dall’interscambio con i Paesi Ue che supera ormai stabilmente quello con gli Usa, anche nei servizi finanziari (una tendenza rispetto a cui il referendum per uscire dalla Ue sembra rappresentare un contromovimento politico-elettorale). In questo ambito il rapporto con la Germania supera quello con Parigi, rovesciando l’immagine di “entente cordiale” sviluppata dal 2010 in poi in ambito militare – e che rappresenterebbe dunque più un tentativo di controbilanciamento che l’espressione di un condominio strategico. Di più, è tra il 2009 e il 2010 che si colloca il sorpasso tedesco rispetto alla Francia come principale meta di investimenti diretti esteri nell’Europa continentale secondo dati E&Y. Se il legame tra Londra e Mosca è sostanziato da rapporti energetici, come nella joint venture BP-Rosneft che ha ricadute importanti in terra tedesca, il linkage energetico anglo-tedesco ha alcuni punti di caduta come Shell Deutschland e BP Deutschland. Shell Deutschland, oltre al 50% del primo distributore di gas tedesco (BEB), possiede 4 raffinerie in Germania, di cui una (PCK Orlen) in joint venture con Ruhr Oel. Questa è una società petrolchimica tra BP Deutschland e Rosneft che gestisce la Raffineria di Gelsenkirchen con quote in altre due raffinerie, coprendo il 19% della capacità di raffinazione tedesca e il 5% della produzione di etilene di tutta l’Europa nord-occidentale. Significativo poi in tutti gli intrecci il ruolo del gruppo Vattenfall, multinazionale svedese ben insediata in Germania (dove è il terzo produttore elettrico), in Gran Bretagna, dove è un grosso operatore di turbine eoliche, e che con la Russia ha siglato uno strategico accordo di fornitura di combustibile nucleare nel 2013.

UN ASSE STORICO, NON SOLO ECONOMICO
Non è difficile scorgere in queste connessioni una mappa che ricalca storici legami diplomatici, per esempio tra Prussia (poi Germania orientale-DDR) e Russia, o tra Amburgo e Londra e in generale tra Renania settentrionale-Sassonia-Hannover e Gran Bretagna. La novità è che al centro, con ampia libertà di manovra, si trova la Germania e che dunque il “triangolo dei fondatori”, continentale, tra Italia, Francia e Germania (che ha una naturale sede di compensazione a Bruxelles) oggi perde di significato rispetto a quello strategico-energetico tra Londra, Berlino e Mosca.

GABRIEL, VICECANCELLIERE FILO-RUSSO
Ne è espressione anche il ministro dell’economia tedesco, vicecancelliere capo del SPD, Sigmar Gabriel, che recentemente ha definito “insostituibili” al momento le forniture di gas e petrolio russo per l’Europa. Mentre sarebbero esagerate, a suo avviso, tanto i timori di inadempienze contrattuali da parte di Mosca (che “anche nei tempi più oscuri della Guerra Fredda” rispettava gli impegni) quanti le voci di possibili alternative energetiche (il riferimento è certamente alle forniture di shale gas americano)

Berlino, Mosca e "Londongrad", il triangolo del business energetico in Europa

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