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Con sottile arguzia e perspicace senso del reale, Paolo Franchi, sul Corriere della Sera (20 marzo), spiega che il lessico di Matteo Renzi può apparire leggero, ripetitivo di luoghi comuni, fatto di parole vuote di contenuto e, invece, corrisponde più compiutamente al modo d’esprimersi tipico dei giovani d’oggi, contenendo un quid di rivoluzionario che sfugge a quelle generazioni, come la nostra, abituate a ben altri, più corposi linguaggi politici.

Anch’io penso, come Franchi, che le parole della politica non vadano valutate ora e sempre con un unico significato. E che ciascuna espressione – specie i neologismi – è riferibile ad un determinato momento storico, e non a tutti gli altri successivi. Infatti le parole, essendo convenzioni, vanno utilizzate per come vengono percepite nel variare delle situazioni politiche. Da anni, quasi inascoltato, vado ripetendo, per esempio, anche in dizionari politici, che l’espressione centro-sinistra ha cessato di avere la sua valenza politica col quarto e ultimo governo Moro (1976); sicché tutte le sue utilizzazioni successive, compresa quella attuale, che s’adotta per la alleanza fra Renzi, il nuovo centro destra di Alfano e i residui dei montiani di Scelta civica, sono fuorvianti; reiterano terminologie superate; fanno sorridere gli anziani e lasciano perplessi i giovani nati ed educati in epoca postideologica.

Occorre fare attenzione a come si parla, non solo in politica. Usare le stesse formule per situazioni politicamente diverse, se non addirittura capovolte rispetto ad un passato non remotissimo, concorre ad aggiungere confusione a quella creata da partiti privi di identità politica e che riducono le loro relazioni a messaggini striminziti, composti di parole ma anche di segni che vorrebbero essere qualificativi e possono risultare distorsivi. Questa notazione è necessaria perché noi vecchi, nel lessico essenziale divenuto di moda, possiamo avere difficoltà a comprenderne il contenuto politico. Tanto che, opportunamente, Franchi, captando reazioni diffuse nel lettorato medio di giornali e tv, pone un interrogativo non marginale: se le parole di Renzi (o della generazione che questi rappresenta) sia di sinistra o di destra o soltanto nuovo e da interpretare con fatica.

Dalle parole si può cavare più d’un senso. A seconda dei momenti storici; di chi le usa o le archivia; dei contenuti ai quali esse intendono riferirsi. Certo, la leggerezza delle parole è ingannevole. Ma, proprio per questo, è bene usarle con giudizio. E non perché a questo è riconducibile una generazione senza storia.

Caro Renzi, le parole sono importanti

Con sottile arguzia e perspicace senso del reale, Paolo Franchi, sul Corriere della Sera (20 marzo), spiega che il lessico di Matteo Renzi può apparire leggero, ripetitivo di luoghi comuni, fatto di parole vuote di contenuto e, invece, corrisponde più compiutamente al modo d’esprimersi tipico dei giovani d’oggi, contenendo un quid di rivoluzionario che sfugge a quelle generazioni, come la…

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