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Arriba España. L’assemblea straordinaria di Telecom Italia venerdì 20 dicembre, si è conclusa con una vittoria di misura di Telefonica e dei soci bancari di Telco: 50,3 dei voti per il mantenimento dell’attuale consiglio di amministrazione contro il 42,7% per il cambiamento e 7,4% astenuti. Marco Fossati batte in ritirata.

LA MOSSA DI NAGEL

I novanta giorni che cambiano (per la quinta volta) l’assetto di Telecom Italia, cominciano lunedì 23 settembre a Mediobanca (comme d’habitude). Alberto Nagel comunica a Marco Fossati, l’erede Star che si agita perché ha perso metà dei mille e duecento milioni investiti nel 2007, l’accordo con Cesar Alìerta, il patron di Telefonica.

GLI EFFETTI SPAGNOLI

La compagnia spagnola in prima istanza sale a due terzi del capitale in Telco, la scatola finanziaria che controlla Telecom, versando subito 324 milioni alla banca d’affari creata da Enrico Cuccia, alla Intesa di Giovanni Bazoli e alle Generali gestite da Mario Greco, ma presiedute da Gabriele Galateri di Genola, già presidente di Mediobanca, uomo di fiducia di Umberto Agnelli e amico di Alierta fin da quando frequentavano la Columbia University a New York.

IL DESTINO DI BERNABE’

Quel lunedì 23, Fossati cade dal pero. Franco Bernabè, manager nient’affatto ingenuo, capisce che il suo tempo è segnato e comincia ad agitarsi. Non tanto per resistere, quanto per vendere cara l’uscita e mettere le spalle al sicuro. Un cautelarsi che arriva fino alla magistratura la quale non gli è affatto estranea, almeno da quel 1993 in cui avviò il repulisti all’Eni. La gestione Bernabè è stata “senza fuochi d’artificio” secondo il sempre più inquieto Fossati. In realtà, ha eseguito alla perfezione il compito di congelare la compagnia telefonica oberata di debiti, dissanguata ed estenuata dalle guerre scatenate dopo la sua infausta (nei tempi e nei modi) privatizzazione del 1997.

L’OPERA DI BERNABE’

Bernabé galleggia, riducendo un po’ il debito, investe quel tanto che basta per tirare avanti, salva gli investimenti in Argentina e in Brasile, vera gallina dalle uova d’oro quest’ultimo che consente profitti e dividendi agli azionisti. Finché il 3 ottobre se ne va con 6,6 milioni di buonuscita, lasciando la patata bollente in mano al vice Aldo Minucci e all’amministratore delegato Marco Patuano il quale chiede un aumento di capitale da 1,3 miliardi con un titolo triennale da convertire in azioni.

LE RICHIESTE DI FOSSATI

A Fossati non basta, vuole più capitale, più investimenti, un cambio del management, chiede e ottiene un’assemblea straordinaria, accusa Telefonica di conflitto d’interesse, guida la rivolta degli azionisti di minoranza turlupinati ancora una volta. Mentre il fondo americano Blackrock comincia rastrella fino al dieci per cento. Un terzo incomodo? Un cavallo di Troia? In assemblea ieri ha annunciato l’astensione favorendo di fatto gli spagnoli e la continuità gestionale.

L’AZIONE DI MUCCHETTI

Lo scontro arriva anche in Parlamento, soprattutto ad opera di Massimo Mucchetti il giornalista del Corriere della sera che aveva incrociato la penna e i computer con Tronchetti. Diventato senatore e per di più presidente della commissione Industria, si fa promotore di una proposta di legge che rende obbligatoria l’offerta pubblica d’acquisto non solo a chio ha raggiunto il 30% delle azioni, ma anche a chi detiene il controllo di fatto. Acquisendo tutta Telco, la Telefonica avrebbe il 22% di Telecom, ma potrebbe designare la maggioranza del consiglio d’amministrazione e il top management.

IL CIRCO MEDIATICO SI SCHIERA

La Repubblica dà spazio a Fossati. Carlo De Benedetti in tutti questi anni ha sempre giocato una partita dall’esterno, soprattutto contro Tronchetti, ma il giornale romano non ha mai risparmiato staffilate a Telecom. Il Sole 24 Ore diffida di Telefonica. Il Corsera ha sempre difeso Bernabè, Bazoli e Mediobanca. Ieri era l’unico ad aprire la prima pagina con l’inchiesta della magistratura, foriera di “sviluppi clamorosi”, sulla scalata degli spagnoli. Un messaggio? Il Fatto è con Mucchetti (e con Fossati). Alìerta ha pochi amici nei giornali e molti di più in politica: è in buoni rapporti con Silvio Berlusconi, ma anche con Enrico Letta.

GLI INCONTRI LETTA-ALIERTA

Il presidente del Consiglio ha ricevuto una visita di don Cesar il quale gli ha spiegato il suo piano, promettendo investimenti in Italia. All’indomani del blitz in Telco, Letta ha dichiarato che “i capitali stranieri possono aiutare l’azienda”. Poi ha sostenuto che la riforma dell’Opa non va legata a questa vicenda e ha detto che la rete telefonica resta strategica, forse aprendo uno spiraglio alla Cassa depositi e prestiti. Galateri, secondo Mucchetti, gli avrebbe rivelato che il governo ha già dato via libera agli spagnoli.

I DUE PROGETTI CONTRAPPOSTI

Allo stato attuale si combattono due progetti. Fossati vuole cedere parte delle infrastrutture alla Cdp e ha indicato come suo manager di punta Vito Gamberale, l’uomo che ha creato Tim e ora guida il fondo infrastruture della Cassa. Insomma, la mano pubblica dovrebbe dare un supporto consistente. Telefonica, invece, acquisita la totalità di Telco, intende vendere Tim Brasil (sarebbe incompatibile con la presenza degli spagnoli in Brasile). Abbattuto il debito, la compagnia italiana e quella iberica potrebbero fondersi senza esborso di denaro contanti (carta su carta, si dice in gergo). Visto così, sembra il ratto dal serraglio ed è destinato a suscitare un putiferio politico-mediatico anche se il conquistador ha promesso mari e monti.

LE PROSPETTIVE

Le telecomunicazioni sono ad alto valore politico, ma vengono travolte da un’altra potente ondata tecnologica: a vent’anni dalla sua nascita, internet collega solo l’un per cento della popolazione mondiale e i giganti americani hanno già megaprogetti. L’Italia resta marginale perché le mancano sia i capitali sia le imprese.

CONCLUSIONE

Una Telecom piccola e isolata, nelle mani di qualche raider magari sostenuto dallo stato, non potrebbe certo partecipare al grande gioco.

Benvenuti alla corrida finale di Telecom Italia

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