Esopo, scrittore antico, in una delle sue favole immaginava una zanzara sfidare a duello un leone riuscendo inaspettatamente vincitrice. La zanzara sfruttava le armi date dalla natura; pizzicando l’avversario sul naso rendeva impossibile la sua difesa. Il morale della favola è valido ancora oggi e fa comprendere in poche battute il ruolo geopolitico che il Qatar ha conquistato negli ultimi anni in una delle regioni più calde del pianeta, il Medioriente.
Geograficamente, la metafora della zanzara è perfettamente adeguata per un Paese con una dimensione territoriale paragonabile a una regione italiana, e non delle più grandi, come ad esempio la Campania.
Eppure, il Qatar gode di una posizione eccezionale, corno della penisola arabica proteso in pieno Golfo Persico, mare importantissimo per il controllo delle rotte del petrolio. La vera ricchezza del Paese è però un’altra, ossia una straordinaria dote di gas e petrolio, che lo classificano al terzo posto al mondo per le riserve di gas, dietro giganti come Russia e Iran. A differenza di questi ultimi due però, il Qatar non ha decine di milioni di abitanti, ma una cittadinanza che si aggira appena intorno al milione. Come se non bastasse i cittadini, cioè coloro che godono pienamente dei diritti politici, appartengono in larga maggioranza alla tribù dell’emiro che, dunque, governa su una grande famiglia.
Ne consegue che il piccolo emirato arabo è un luogo tranquillo, dove un popolo esiguo partecipa a una ricchezza straordinaria. L’emiro al potere dal 1995, al-Thani, ha saggiamente operato una redistribuzione delle sue fortune, così che i qatarini non pagano tasse e hanno a disposizione un welfare di alto livello, che ricomprende anche la possibilità di iscriversi gratuitamente ad alcune prestigiose università americane, che hanno aperto loro sedi in Qatar.
Nel 2009 l’avanzo di bilancio del Paese era di 15 miliardi di dollari. Grazie a queste entrate il governo qatarino ha potuto sopperire alla mancanza strategica di un esercito, difficile da sostenere data l’esiguità della popolazione. Si è allora pensato di chiedere agli Stati Uniti di allestire una propria base militare nel Paese, pagando buona parte del conto per il mantenimento di una delle più grosse proiezioni internazionali dell’esercito a stelle e strisce. Una vera e propria assicurazione sulla vita, che ha permesso al Qatar di svincolarsi dall’ombra a volte minacciosa dell’Arabia Saudita e di giocare un ruolo autonomo nella regione.
A proposito dei media, invece, è noto che Al Jazeera, il più importante canale televisivo arabo, trasmette da Doha ed è stato creato proprio dall’emiro nel 1996. Nel recente sconquasso provocato dalla cosiddetta primavera araba, Al Jazeera ha giocato un ruolo centrale nella diffusione di immagini e notizie, influenzando l’opinione pubblica occidentale su quello che stava accadendo in Egitto, Tunisia e Libia.
Di sicuro, il Qatar non è interessato né a un’espansione militare o territoriale, ma neanche economica. Dal primo punto di vista, l’espansione militare è impedita dal fattore demografico, che rende impossibile garantire la presenza qatarina su qualunque territorio che non sia il proprio. Anche dal punto di vista economico, il Qatar è più che altro interessato a sviluppare il proprio sistema industriale, per il quale offre costantemente grossi vantaggi fiscali alle imprese straniere e, soprattutto, garantirsi il necessario approvvigionamento alimentare.
Il Qatar dà, dunque, la sensazione di voler diventare un centro di influenza politica di rilievo nel nuovo Medioriente, come dimostra indirettamente anche la sorprendente assegnazione dei mondiali di calcio nel 2022, la seconda manifestazione sportiva per importanza dopo le olimpiadi. A Doha si svolgono alcuni dei più importanti incontri internazionali a favore del dialogo: ad esempio, di recente proprio nella capitale qatarina è stato siglato l’accordo tra il governo sudanese e i ribelli del Darfur. È indubbio che il nuovo equilibrio strategico è frutto dell’alleanza con gli Stati Uniti, ma non basta. Per capire una realtà così lontana dalla nostra mentalità è necessario fare un salto di qualità. L’emiro sembra voler guadagnare prestigio per sé e per la sua famiglia, un desiderio per certi versi simile a quello delle vecchie case regnanti dell’Europa premoderna.
La politica dell’equilibrio di Doha tra Stati Uniti e Iran, infatti, permette al Qatar di essere uno dei pochi Paesi al mondo ad avere buoni rapporti, e affari, con entrambi. Potenza del denaro, che serve all’Iran per sviluppare un vetusto sistema industriale e agli Stati Uniti per diminuire il costo della sua politica internazionale, a cominciare dal già ricordato finanziamento della base militare di al-Udaid. L’Iran tra l’altro cede territori per l’agricoltura off-shore al piccolo emirato, essenziali per la sua sussistenza alimentare; di converso, Doha investe ingenti capitali nelle tecnologie di estrazione del gas iraniano. Teheran è così disposta a chiudere un occhio sulla pesante campagna mediatica di Al Jazeera contro il regime degli Assad in Siria, testa di ponte della politica iraniana sul Mediterraneo. Il ruolo politico di Al Jazeera ha costretto Doha a chiudere la propria ambasciata a Damasco, e lo stesso emiro non perde occasione per criticare il regime.
Concludendo, in un mondo dove i flussi globali sembrano aver mandato in soffitta i vecchi Stati-nazione, anche piccole realtà territoriali possono giocare un ruolo importante. Se la sapiente politica di investimenti qatarini continuerà ad accontentare gli attori più importanti della regione, nulla vieta che Doha diventi il centro di riferimento culturale, finanziario e in parte politico dell’islam globalizzato.