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Sette anni “senza” Giovanni Paolo II

A sette anni ormai dalla scomparsa di Karol Wojtyla è praticamente impossibile fare una valutazione sintetica dell’incidenza storica del suo pontificato. Troppi sono gli aspetti della realtà che la sua personalità irripetibile ha contributo a cambiare: teologici, filosofici, sociali e culturali. Probabilmente dal punto di vista politico basta pensare a com’era il mondo nel 1978 e paragonarlo alla nostra situazione di oggi per cogliere i mutamenti radicali che il suo magistero ha apportato.

Il primo e più appariscente è stato la caduta dell’impero sovietico e del socialismo reale. Pur non avendo potuto vincere direttamente il male opposto che n’è derivato, ossia il capitalismo selvaggio, egli ha smantellato, difatti, non solo la pretesa totalitaria del comunismo, ma la tendenza di tutti i regimi illiberali orientali e occidentali a controllare ideologicamente la vita delle persone mediante l’organizzazione repressiva del potere. La crisi attuale del villaggio globale rientra, in tal senso, a pieno titolo nella diagnosi etica che il suo insegnamento ha già elaborato, senza che la terapia sia potuta giungere, purtroppo, ad estirparne le concrete contraddizioni.

Resta adesso, nondimeno, la parte più viva della sua eredità, che non è né comunicativa, né legata solo alla sua santità, quest’ultima, peraltro, oramai riconosciuta ufficialmente dalla Chiesa. Restano gli scritti, tutti di altissimo livello letterario. Essi rivelano, in particolare, come il personalismo del XX secolo abbia trovato in Woytila una sintesi grandiosa e un compimento estremo, in grado di interpretare adeguatamente il tempo futuro.

Per Giovanni Paolo II l’essere è per essenza persona. E la persona umana, nella sua individualità, corporeità e spiritualità, è un “tutto aperto” verso l’alto e verso il prossimo cha ha ragione di fine ultimo. La portata autentica di un ragionamento di questo genere è che esso mette a nudo con nettezza le disumanità ovunque si presentino, nelle quali inesorabilmente individualismo e egoismo finiscono per condannare senza eccezione e in modo tirannico i popoli e le loro tradizioni culturali ad un lento e progressivo declino spirituale, economico, sociale, demografico.

In definitiva, studiare a fondo il ricco ed esigente lascito del suo pensiero resta il miglior modo per apprezzarne il talento unico, la libertà, la poesia e l’ironia, senza lasciarsi sedurre da facili e sciocche strumentalizzazioni.

Benedetto Ippolito


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