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Che cos’è, e come sarà risolto, il Fiscal Cliff

Il termine si riferisce all’insieme di tagli automatici alla spesa e aumenti dell’imposizione fiscale che entrerà in vigore dal primo gennaio prossimo se il presidente americano Barack Obama e lo speaker alla Camera John Boehner non troveranno un accordo su come ridurre il deficit degli Stati Uniti. Soltanto per il 2013 il valore di tale insieme di misure è di circa 600 miliardi di dollari.

Il termine, o meglio la metafora, è stato coniato l’inverno scorso dal governatore della Federal Reserve, Ben Bernanke, per mettere in guardia dai rischi – pericolosi ma evitabili – legati alla situazione fiscale del Paese.

Cosa succede se si cade nel precipizio fiscale

Le tasse aumenteranno per tutti i contribuenti statunitensi e, in generale, per le aziende. I fondi destinati a finanziare una vasta gamma di programmi federali, inclusi quelli militari, saranno inoltre tagliati. Secondo molti economisti, l’impatto del fiscal cliff – stimato intorno al 3-4% del Prodotto interno lordo statunitense – sarebbe negativo per un’economia come quella americana considerata ancora debole. Il Congressional Budget Office ha comunicato che il precipizio fiscale provocherebbe una recessione, seppure breve. Altri analisti sostengono che i danni sarebbero più contenuti di quanto atteso. Piuttosto che “cliff” (precipizio) – dicono – sarebbe più opportuno parlare di “slope” (discesa).

 

Quali spese verrebbero tagliate senza un accordo

La più grande riduzione di costi, da 65 miliardi di dollari, sarebbe quella che riguarderebbe automaticamente la gran parte dei programmi federali nei primi nove mesi del 2013. Questo taglio generalizzato – noto come sequester – è previsto da un accordo sul budget federale trovato nell’agosto 2011 tra Obama e il Congresso e che pose fine a uno scontro sull’innalzamento del tetto del debito pubblico. In quell’intesa, le parti si accordarono su una riduzione della spesa pubblica da 1.000 miliardi di dollari in 10 anni e sull’identificazione – a compiere entro il gennaio 2013 – i ulteriori 1.200 miliardi di dollari di risparmi. Se Obama e i Repubblicani alla Camera non troveranno un accordo su quest’ultima parte – come sembra, almeno per ora – i tagli automatici alla spesa pubblica entreranno in vigore. I pagamenti ai dottori così come previsti dal programma federale Medicare, che garantisce un’assicurazione medica ai chi ha 65 anni e oltre, verrebbero tagliati del 27%, pari a 11 miliardi di dollari. Il motivo, in questo caso, è legato al fatto che il Congresso non ha approvato, come accade solitamente, il cosiddetto “doc fix” che serve proprio a impedire tagli di questo tipo, che invece sono previsti da una legge del 1990 volta a limitare i costi a carico del governo centrale. Anche un programma di emergenza pensato per i disoccupati sta per scadere, fattore che garantirebbe risparmi per 26 miliardi di dollari ma lascerebbe con le tasche vuote milioni di americani rimasti senza un lavoro.

 

Come nasce la minaccia del Fiscal Cliff

In parte, è intenzionale: dall’amministrazione di Ronald Reagan, presidenti e politici al Congresso si sono pi volte imbattuti consapevolmente in una crisi per forzare se stessi a trovare un’intesa su tasse impopolari e azioni sulla spesa pubblica. Con quello spirito, l’idea alla base dell’accordo dell’agosto 2011 era che Repubblicani e Democratici, preoccupati da tagli rispettivamente alla spesa militare e a quella domestica, si sarebbero ritrovati a negoziare su una riduzione alternativa del deficit federale entro la scadenza del primo gennaio 2013.
In parte, la minaccia è casuale: le misure previste dall’accordo del 2011 entrano in vigore contemporaneamente allo scadere dei benefici fiscali voluti dall’ex presidente George W. Bush e a una serie di cambiamenti riguardanti per esempio aiuti ai disoccupati e il cosiddetto “doc fix”. Questa coincidenza non era attesa, almeno non da tutti, nell’accordo siglato nell’agosto del 2011.
A tutto ciò si aggiunge il raggiungimento a gennaio del limite massimo del debito pubblico, elemento che aggiunge ulteriore incertezza sul futuro del Paese. Il dipartimento del Tesoro potrebbe, attraverso una serie di mosse contabili, posticipare tale raggiungimento fino al marzo prossimo ma Obama vuole l’innalzamento del tetto al debito pubblico come parte di un accordo sul fiscal cliff, aggiungendo così un’altra questione spinosa al tavolo dei negoziati.

 

Democratici e Repubblicani a confronto: il vero nodo

Il principale nodo da sciogliere rappresenta l’aumento dell’imposizione fiscale che, per Obama, deve avvenire sul 2% degli americani che guadagnano oltre 250.000 dollari all’anno. La controparte repubblicana ha lungamente difeso l’intenzione di estendere per tutti gli americani i benefici fiscali introdotti dall’ex presidente George W. Bush e in scadenza nel dicembre 2010. Due anni fa Obama, seppure con riluttanza, concesse il loro rinnovo per altri due anni in cambio però del via libera dei Repubblicani alla riduzione temporanea delle tasse sugli stipendi e all’estensione degli aiuti ai disoccupati. Questa volta il presidente non sembra intenzionato a cedere. La linea dura della Casa Bianca ha portato venerdì scorso a qualche concessione da parte dei Repubblicani: è stato offerto un incremento delle aliquote per chi guadagna oltre un milione di dollari all’anno.

 

Perché Obama non vuole prorogare i benefici fiscali targati Bush

Nel 2010 l’economia era debole, così come il presidente statunitense. I Repubblicani avevano appena trionfato nelle elezioni di medio termine aggiudicandosi il controllo della Camera. Adesso Obama si trova in una posizione di maggiore forza: è fresco di rielezione, ha dalla sua il supporto della popolazione americana e i Democratici hanno rastrellato nuove poltrone al Congresso.
L’inquilino della Casa Bianca ha più volte ribadito che senza un aumento dell’imposizione fiscale per gli americani pi ricchi un accordo non ci sarà, facendo scattare il fiscal cliff. Si tratta probabilmente di una minaccia volta a fare reagire i Repubblicani. D’altra parte vari sondaggi hanno dimostrato che la maggioranza dei cittadini statunitensi, in caso di fallimento delle trattative, punterebbe il dito proprio contro i rappresentanti del partito conservatore.

 

Il piano della Casa Bianca

La Casa Bianca punta a una riduzione del deficit fiscale da 2.000 miliardi di dollari in 10 anni.

ENTRATE. La gran parte della riduzione del deficit deriva da un’imposizione fiscale da 1.400 miliardi, non più 1.600 miliardi come previsto dalla prima versione del piano targato Obama.
Secondo alcuni Democratici il presidente americano sarebbe disposto a scendere fino a 1.200 miliardi di dollari circa.
Nel piano del presidente, le aliquote attuali restano tali per i contribuenti americani che hanno redditi annuali per 200.00 dollari (se single) o per 250.000 dollari (se sposati). La misura riguarda il 98% degli americani.
Le due aliquote massime salgono invece per i più abbienti al 36% e 39,6% da, rispettivamente, il 33% e 35%.
La tassazione sui guadagni in conto capitale passa al 20% dal 15%. Salgono anche le tasse sui dividendi. Non a caso, nell’incertezza delle negoziazioni sul precipizio fiscale, numerose aziende americane hanno annunciato nell’ultimo mese dividendi straordinari o anticipati. E’ il caso, per esempio, del colosso dell’intrattenimento Disney, che ha alzato del 25% il suo dividendo annuale. Il retailer più grande al mondo Walmart ha invece anticipato al 27 dicembre dal 2 gennaio prossimo il pagamento del dividendo del quarto trimestre fiscale.
Le tasse su patrimoni ereditati vengono riportare ai livello del 2009, con un tasso al 45% dall’attuale 35% con esenzioni, nell’ordine, a 3,5 milioni di dollari da 5 milioni.
Il piano sul fronte delle tasse prevede anche l’estensione di benefici fiscali per aziende e individui dal reddito medio-basso.

PROGRAMMI ASSISTENZIALI. L’amministrazione Obama conta di risparmiare 400 miliardi di dollari circa in programmi assistenziali legati alla sanità come il Medicare, che garantisce un’assicurazione sanitaria a persone dai 65 anni in su o a individui giovani ma disabili. Gran parte di tali risparmi è legato però al taglio di pagamenti dovuti a casa farmaceutiche e a fornitori di servizi sanitari. Nessun cambiamento è previsto per il Social security, in pratica l’equivalente della pensione italiana.

ALTRE SPESE. La Casa Bianca punta a risparmiare 200 miliardi di dollari circa da altri programmi assistenziali oltre a quelli sanitari, come per esempio iniziative volte a supportare il settore agricolo.

NUOVO STIMOLO ECONOMICO. Il piano di Obama prevede nuove iniziative da 200 miliardi di dollari volte a fare crescere l’economia americana. Tra queste figurano opere infrastrutturali, rifinanziamenti sui mutui ed estensioni dei tagli delle tasse sugli stipendi dei lavoratori.

TETTO AL DEBITO PUBBLICO. La Casa Bianca vorrebbe alzare il limite al debito pubblico, fissato attualmente a quota 16.400 miliardi di dollari.

 

Il piano dello speaker alla Camera John Boehner

I Repubblicani che controllano la Camera puntano a una riduzione del deficit fiscale da circa 2.000 miliardi di dollari in 10 anni. Per abbassare il deficit, in questo caso si punta equamente all’imposizione di nuove tasse e ai tagli alla spesa pubblica. Si tratta di un cambio di rotta rispetto ai piani iniziali che puntavano soprattutto su tagli alla spesa pubblica e a nuove entrate, da raccogliere però non attraverso nuove tasse ma passando per l’eliminazione di scorciatoie fiscali e la limitazione di benefici fiscali.

ENTRATE. Il nuovo piano di Boehner prevede entrate da 1.000 miliardi di dollari in 10 anni (200 miliardi in più di quanto proposto inizialmente), di cui quasi la metà legate a una riforma tributaria. I Repubblicani si erano impuntati nel volere l’estensione per tutti i contribuenti dei benefici fiscali introdotti dall’ex presidente George W. Bush e rinnovati da Obama nel 2010. Nel corso del weekend scorso però il presidente della Camera ha ceduto sul fronte dell’aumento delle tasse per i cittadini più ricchi, offrendo un incremento delle aliquote per chi guadagna oltre un milione di dollari all’anno (garantendo introiti per 460 miliardi di dollari in dieci anni), in cambio però di tagli sostanziosi alla spesa pubblica. L’aliquota passerebbe dal 35 a 39,6% per circa 400.000 famiglie nell’anno fiscale 2013.

Per quanto lontana dal target fissato da Obama, la proposta di Boehner è politicamente rischiosa: in molti nella Camera a maggioranza Repubblicana da lui presieduta si sono opposti a un rialzo delle aliquote. Uno di questi è arrivato a definire la richiesta di Obama di alzare le tasse per i più abbienti “un gioco brillante per iniziare una guerra civile Repubblicana”.
Troppe concessioni da parte di Boehner – dicono alcuni – potrebbero costargli la poltrona da speaker alla Camera su cui siede.

PROGRAMMI ASSISTENZIALI. I Repubblicani alla Camera capitanati di Boehner contano su risparmi da 600 miliardi di dollari. In questo caso è stato proposto un aumento dell’età, da 65 a 67 anni, con cui un contribuente americano può fare ricorso al programma federale Medicare. Boehner sembra disposto a rinunciare a questa proposta, consapevole della forte opposizione che solleverebbe tra i Democratici.

Nel piano Repubblicano è previsto inoltre un contenimento dei costi legati al Social Security, l’equivalente della pensione italiana, e ad altri programmi federali. Tale contenimento da 200 miliardi di dollari sarebbe raggiunto attraverso un nuovo calcolo dell’inflazione, che rallenterebbe gli aggiustamenti al rialzo del costo della vita contenuti nel Social Security. Su questo fronte sembra che Obama, nel corso dell’ultimo fine settimana, si sia detto disposto a cedere.

ALTRE SPESE. Boehner punta a risparmiare 600 miliardi di dollari da altri programmi federali e spese domestiche e militari che il Congresso determina ogni anno. Non ci sono però dettagli su questo fronte.

NUOVO STIMOLO ECONOMICO. Non è previsto.

TETTO AL DEBITO PUBBLICO. Secondo i Repubblicani alla Camera le trattative sul fiscal cliff non devono includere questa questione anche se è possibile che ci sia un’imminente apertura anche su questo fronte.

 

Una possibile soluzione di compromesso

Per quanto qualche passo in avanti nelle trattative si sia visto negli ultimi giorni, le posizioni del presidente degli Stati Uniti e dello speaker alla Camera restano ancora lontane.
A Washington iniziano però a circolare varie ipotesi relative a quello che potrebbe essere un compromesso tra le due parti, impegnate da settimane in un braccio di ferro senza sosta e caratterizzato da accuse reciproche.
Tra le opzioni, ci potrebbe essere il via libera al rialzo delle aliquote fiscali per i contribuenti con redditi annuali pari a oltre 500.000 dollari o 750.000 dollari. Un simile target permetterebbe entrate maggiori rispetto a quelle che fino ad ora ha concesso Boehner.
Il raggiungimento di un’intesa – dicono persone appartenenti ad entrambe gli schieramenti politici – comporterebbe con ogni probabilità il rinvio di tagli automatici alla spesa per 100 miliardi di dollari, tra cui quelli previsti per il Pentagono e altre agenzie federali.
Anche un limite massimo a tutte le deduzione sull’imponibile, a quota 35.000 o 50.000 dollari, potrebbe entrare a fare parte dell’accordo.

 

La soluzione in extremis

Sembra che alcuni Repubblicani stiano discutendo un piano che potrebbe essere usato nel caso in cui Obama e Boehner restassero fermi sulle loro posizioni. In questo caso il partito conservatore farebbe di fatto quanto presidente e leader Democratici al Congresso vogliono: l’approvazione della legge già approvata in Senato che prevede l’estensione dei benefici fiscali introdotti da Bush per chi ha redditi annuali inferiori ai 250.000 dollari. Ciò mitigherebbe in parte gli effetti legati al precipizio fiscale.
I Repubblicani potrebbero cercare di fare passare separatamente una legge per cancellare gli imminenti tagli automatici alla spesa previsti per il settore della difesa, mossa che però verrebbe con ogni probabilità bloccata dal Senato a maggioranza Democratica.
A questo punto i rappresentanti del partito conservatore potrebbero scegliere di temporeggiare fino all’anno prossimo, quanto sfrutterebbero la necessità di aumentare il limite al debito pubblico – come vuole Obama – per aggiudicarsi una riforma riguardante i programmi federali a supporto dei cittadini meno abbienti.



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