C’è un “deep web”, il “web sommerso” o “invisibile” che sfugge a tutti i comuni motori di ricerca. Esso rappresenta la nuova frontiera del cybercrime che spinge il Servizio di polizia postale e delle comunicazioni, diretto da Antonio Apruzzese, a monitorare costantemente anche questa rete alternativa con agenti rigorosamente sotto copertura. Le sue caratteristiche? Secondo l’analisi dell’Agi sono un “accesso iperselettivo, scarsa tracciabilità e anonimato assoluto”.
“Il mondo di internet come abbiamo imparato a conoscerlo – racconta all’Agi il vicequestore aggiunto Antonello Novellino della Sezione investigazioni informatiche – è solo la punta dell’iceberg: al di sotto si nasconde di tutto”.
Una stima? Studi di settori riportati dall’agenzia stampa parlano di un rapporto di 500 a uno tra file nascosti e file normalmente indicizzati da Google, Yahoo, Altavista e gli altri. Come si legge sull’Agi “la chance di navigare a fari spenti che può, ad esempio, rivelarsi preziosa in Paesi strozzati dalla censura sempre più spesso viene piegata a fini illegali da organizzazioni criminali”.
“E’ la solita storia – spiega Novellino – la tecnologia non è cattiva, dipende dall’uso. E un uso decisamente criminale è quello che nel mondo ne fanno, di volta in volta, pedofili, trafficanti di armi e droga, terroristi, ladri di identità”.
I primi ad utilizzare le potenzialità del sistema piegandolo ai propri fini perversi sono stati i pedofili, come conferma il vicequestore aggiunto Elvira D’Amato, responsabile della Sezione pedofilia. La soluzione? “Monitorare incessantemente la Rete – continua D’Amato – frequentare forum e chat alla ricerca delle nuove ‘tendenze’, guadagnarsi la fiducia degli amministratori di certi spazi e, con essa, il diritto di entrare, su invito, a far parte di ‘circoli’ ristrettissimi”.