Non sono sensibile ai facili entusiasmi. Non penso sia giusto assecondarli, tutto qua. E non credo, oltretutto, che il patos sia un buon consigliere nei ragionamenti politici, sebbene lo sia nel catturare consensi. In quest’ultima attitudine, com’è noto, Berlusconi è imbattibile. Non per questo, però, i suoi risultati di governo sono stati adeguati negli anni.
Ebbene, malgrado dunque convenga non seguire le emozioni, o forse a causa esattamente del rischio di farlo, la vera grande novità elettorale del 2013, ossia di un sistema politico italiano bloccato al 1994, è certamente Mario Monti: un uomo mite, timido, intelligente, non trascinatore di masse inquiete. L’originalità, d’altronde, non gli viene dal fatto di essere comparso improvvisamente sulla scena in modo dirompente o per essersi smarcato dalla società politica in modo brillante, com’è accaduto rispettivamente a Grillo, tempo fa, e a Renzi con le recenti primarie del Pd, quanto piuttosto dall’affidabilità. Anche a vederlo rubare si penserebbe a un falso, perché è semplicemente impossibile.
Mario Monti è un uomo del meccanismo, dei gangli della realtà: è il rappresentante di una capacità di governo che, ormai da due decenni, è affidata al management e all’alta dirigenza, non essendo più prerogativa della politica-spettacolo ma della competenza fine a se stessa. Mario Monti è l’uomo che ha preso in mano l’Italia alla fine del 2011 per rimetterla in piedi in poco più di un anno, dopo la gran festa dell’incompetenza. Se non fosse per la diversità di temperamento, si potrebbe paragonare a Marchionne, il quale, però, ha potuto confidare in otto anni d’indiscussa gestione della FIAT e non in dodici mesi di potere limitato. Il che equivale a dire che non c’è alcun paragone tra i due se non la convinzione che si debba voltare pagina tutti insieme per uscirne.
Venendo alla politica, chiediamoci cosa possa spingere a credere in questo nuovo e a sostenerlo elettoralmente. Bè, in tanto Monti è una risposta fuori dal sistema politico, dominato dal bipolarismo, in chiave pro-politica e non anti-politica, una proposta, tuttavia, non fuori dal coro della società. E’ la replica europea alla crisi della pratica dell’amministrazione statale, all’interno di credenziali che assumono il gestire come prospettiva di sviluppo.
In genere, il miglior modo di criticare il sistema è proporsi con una diversa gestione del sistema, non abbatterlo e stare a guardare la barca affondare, sperando di ereditare il poco che rimane. Riccardo Lombardi diceva che chi vuol governare partendo dall’esterno ha un nome: si chiama riformista. Ebbene, Monti è un riformatore in questo senso, un uomo che ha raccolto attorno al suo programma, la famigerata Agenda, un coagulo di forze vecchie e nuove, unite a un nutrito campione selezionato di società civile. Le liste, per carità, sono sempre migliorabili, anche quella montiana, ma l’idea è giusta, è valida, è interessante.
Sostenere, come diceva Aldo Moro, che deve esservi un limite a sinistra tanto quanto un limite a destra, non vuol dire essere centrista in senso spregevole. Vuol dire semmai indicare dei problemi unitari che hanno accumunato il bipolarismo e che adesso possono essere vinti solo affidando la gestione dello Stato a chi non ha interessi conservatori da difendere. Dipenderà dalla forza che l’elettorato darà a quest’alleanza riformista, se funzionerà davvero. Contro i tradizionali enormi attriti dei partiti, contro l’impasse che la disputa sul berlusconismo a creato, contro l’anti governo sindacale e istrionico, serve appunto adesso concreta attendibilità e capacità di cambiare la struttura delle istituzioni, muovendo dalla società stessa.
Sappiamo tutti, difatti, che non si potranno fare investimenti produttivi senza abbattere il debito pubblico, perché il passivo dello Stato deve essere aggredito indirizzandovi i rientri fiscali e rimovendo spese inutili tenute in piedi unicamente dal sistema stesso dei partiti che è alla base del bipolarismo bloccato. Un cane che si morde la coda.
Malgrado tutti i limiti di un progetto nascente, dunque, malgrado forse anche una certa approssimazione e dilettantismo dei candidati, il progetto Monti va sostenuto con decisione e convinzione. Anche perché un suo significato storico ci sarà solo con un superamento del 20%. Meno di così per un presidente del Consiglio in carica in un Paese di tradizione poco terzista e conservatrice al massimo non sarebbe in grado di far gridare alla successo e produrrebbe, in definitiva, pochi effetti tangibili. Riformare gestendo, anche al governo, è impossibile, perché finisce per diventare un gestire senza riformare. L’Italia, invece, ha bisogno proprio di riformare tutto, partendo dalla Costituzione repubblicana.
Benedetto Ippolito*
(*l’autore è candidato alla Camera in Lombardia nella lista Scelta Civica)