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Quel silenzio “elettorale” sulla questione meridionale

Nella soluzione del problema meridionale, ammoniva alcuni decenni fa Francesco Saverio Nitti, si trova la soluzione dell’Italia. Fino a quando la classe dirigente non comprenderà come non è ammissibile proseguire con un paese a due velocità, allora non ci potrà essere una definitiva fuoriuscita da logiche provinciali e soprattutto da numeri imbarazzanti, vere e costanti zavorre. Dove il settentrione, al netto della crisi, corre. E il meridione non solo non si muove ma addirittura procede all’inverso. La questione spinosa del mezzogiorno è scomparsa da una campagna elettorale, concentrata solo su Imu e poco altro ancora. Una deriva irresponsabile e deleteria per una parte non solo geografica ma sociale, i cui nodi vanno affrontati. La crisi del Sulcis, il caso Ilva, il manifatturiero del Salento che soffre la concorrenza cinese, il triangolo del salotto tra Puglia e Basilicata che licenzia ancora, la Salerno-Reggio Calabria su cui mettere la parola fine, il terminal containers di Gioia Tauro da sfruttare in chiave europea, il petrolchimico di Gela che inquina e fa ammalare. Sono tutte questioni urgenti, che non possono giacere miseramente al terzo o al quarto posto di comizi e promesse.

Si potrebbe immaginare un doppio binario che raccordi le politiche fiscali ai bisogni delle imprese, pensando all’utilizzo della cosiddetta leva fiscale al fine di attrarre nuovi capitali e nuovi imprenditori. Ma a quel punto sarebbe necessario anche intervenire per abbattere il muro della lentezza giudiziaria, che fa “scappare” il cliente in questione verso luoghi dove la giustizia è meno farraginosa. Il riferimento è alle ben note condizioni di contesto in cui imprese e cittadini meridionali devono operare, con le mafie a fare da frangiflutti a ogni nuova idea, dove le amministrazioni sono spesso preda di convenienze elettorali e non guardano al di là della successiva urna. Dedicare un ministero al Mezzogiorno potrebbe essere una soluzione, ma a patto che sia guidato da un mister spending review, un Enrico Bondi che da un lato tagli il cordone ombelicale con il clientelismo, il familismo, il nepotismo e dall’altro utilizzi quelle risorse per realizzare progetti concreti, non per far ingrassare il bacino elettorale di turno.

Inoltre si potrebbe ragionare su una sorta di zona franca, una no tax area che abbracci solo i nuovi investimenti pluriennali, ma che abbiano delle specificità: utilizzino mano d’opera locale contribuendo a stimolare il versante occupazionale; producano precise ricadute sui territori, anche in termini di infrastrutture; vengano affiancati da contratti di lavoro innovativi e interconnessi alla produttività, prevedendo perché no dei bonus legati ai risultati. E soprattutto evitando il pericoloso labirinto dei subappalti che va vincere solo le criminalità.

Sono solo alcuni spunti, ovviamente migliorabili e implementabili, ma che testimoniano come in un momento caratterizzato dalla scarsezza di risorse, da una disoccupazione galoppante specialmente al sud, l’argomento Mezzogiorno non può rimanere ai margini del dibattito politico così come purtroppo sta accadendo.

Twitter@FDepalo


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