“Demonizzare l’Imu non è giusto, e neanche conveniente: non è certo l’imposta che fa più danno economico; la priorità in Italia dovrebbe essere la riduzione delle tasse sul lavoro, che sono le più alte nell’Ue e tra le più alte nel mondo”. E’ il commento off the record di un esperto comunitario che spiega bene un atteggiamento comune un queste settimane a Bruxelles, dove ufficialmente non possono essere rilasciate dichiarazioni sulle polemiche in corso nella campagna elettorale italiana, né tanto meno sulle evoluzioni di breve termine dei mercati che certe prese di posizione possono causare.
Se si guardano i dati, in effetti, la focalizzazione della campagna elettorale italiana sull’Imu, sulla sua abolizione o addirittura sul suo rimborso appare poco comprensibile dal punto di vista economico. La tassazione sulle proprietà immobiliari in Italia non è affatto più alta che in altri Stati dell’Ue e dell’Ocse, e la nuova Imu ha modificato solo marginalmente questo dato di fatto. Inoltre, va ricordato che non solo la Commissione europea, ma anche l’Ocse e l’Fmi avevano recentemente raccomandato all’Italia (così come anche alla Germania e ai paesi nordici) di aumentare la tassazione sulla proprietà, alleggerendo quella sul lavoro.
Secondo i dati del 2010, nell’insieme dei Paesi anglosassoni dell’Ocse (Australia, Canada, Irlanda, Regno Unito, Usa e Nuova Zelanda) le imposte annuali sulle proprietà immobiliari rappresentavano in media il 2,4% del Pil; nell’Ue, invece, la media è molto più bassa, lo 0,7%, e lo 0,6% nell’Eurozona. Lo 0,6% è anche il dato dell’Italia (sempre nel 2010, dunque prima dell’introduzione della nuova Imu). Gli altri grandi paesi Ue, a parte il caso significativo della Germania (0,5%), hanno forme di tassazione annuale sugli immobili più alte: la Gran Bretagna è al 3,4% del Pil, la Francia al 2,3%, la Spagna all’1%, la Polonia all’1,2%. Anche il Belgio e la Danimarca hanno imposte immobiliari più alte (rispettivamente 1,3% e 1,4%).