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Monti, l’Italia e il budget Ue

Tra le tante opinioni negative sul bilancio pluriennale 2014-2020 dell’Unione europea, appena approvato dal Consiglio dei capi di stato e di governo in un vertice a Bruxelles, c’è quella di Giovanni La Via, capo della delegazione italiana del Ppe al Parlamento europeo.

Siciliano, classe ’63, La Via è relatore della Politica agricola comune e del budget comunitario.

Mettendo da parte le opinioni politiche, osservando l’ultimo bilancio europeo sembra trasparire che le esigenze nazionali stiano prevalendo sulle ambizioni di integrazione europea.

In un momento di profonda crisi economica e finanziaria, che vede i debiti pubblici degli Stati membri dell’Ue, chiudersi nel proprio giardino e spesso la strada più semplicistica da percorrere. Ma questo non vuol dire che sia la più giusta, anzi: il bilancio europeo è un bilancio per il 96% di investimento, ovvero ritorna sui territori dell’Unione europea come un beneficio per il rilancio delle economie e dei settori commerciali che più soffrono il momento di crisi. Oggi come mai, è in gioco la credibilità di un’Unione non soltanto economica, ma soprattutto sociale e politica. È compito dei governi non demonizzare le istituzioni europee ma procedere verso una collaborazione proficua, unica strada da intraprendere per poter uscire dal momento di difficoltà attuale. Usciamo dalla crisi tutti insieme e non procedendo con logiche isolazioniste o, peggio ancora, anti-europee.

Perché gli obiettivi raggiunti da Monti, visti dallo stesso in chiave positiva, non sono per lei sufficienti? Cosa si sarebbe aspettato?

Quelli che per Monti sono miglioramenti, in realtà rappresentano compromessi al ribasso e che hanno evitato tagli peggiori. Ma questo non vuol dire che la bozza sul bilancio multi annuale, sui cui il Parlamento dovrà esprimersi, possa considerarsi positiva. È il primo esercizio finanziario settennale che si chiude con un accordo inferiore al precedente e, ancora, concerne uno stanziamento di spesa inferiore a quello del 2008 – quando la crisi non era ancora scoppiata – e inferiore al 2004 quando l’Ue doveva aprire le proprie porte all’ingresso dei Paesi dell’est. Personalmente, mi sarei aspettato dai governi nazionali un atteggiamento in linea con quanto proclamato gli scorsi 28 e 29 giugno in sede di Consiglio europeo. Si è parlato tanto di favorire crescita e sviluppo come chiave di volta per uscire dalla crisi ma, nell’accordo chiusosi la settimana scorsa, abbiamo visto solo tagli e forti riduzioni a importanti capitoli di spesa come quelli dedicati alle politiche di coesione, alla politica agricola e alle politiche infrastrutturali. Il rigore del bilancio non ci condurrà, da solo, fuori dalla crisi: è necessario invertire la rotta investendo in politiche per la crescita e l’occupazione.

Che modello di Europa immagina per dare maggiore peso alla voce dei cittadini (elezione diretta del Presidente, ecc.)? E quali i prossimi passi necessari per il Pdl, secondo la sua idea di Europa, per rendere migliore il processo che porta alla definizione del bilancio?

Con l’approvazione del trattato di Lisbona, nel 2010, il Parlamento ha acquisito maggiori poteri all’interno dell’Ue, potendo emendare e modificare i testi varati dalla Commissione e –come nel caso delle politiche di coesione, della Pac e delle politiche che riguardano gli investimenti infrastrutturali- svolgendo un ruolo di co-decisione nel processo di riforma. Sono convinto che l’Europa debba procedere verso un modello democratico che dia sempre più centralità al Parlamento europeo, l’unica delle tre istituzioni Ue eletta direttamente dai 500 milioni di cittadini europei. Inoltre, accolgo positivamente le proposte che chiedono l’elezione diretta del Presidente della Commissione europea e tutte quelle modifiche all’apparato istituzionale che consentono di favorire un rapporto sempre più diretto tra e i loro rappresentanti politici in Europa.

Riguardo il processo decisionale che porta alla definizione del bilancio europeo, abbiamo già avanzato la proposta, come Parlamento, di poter introdurre modifiche in corso d’opera all’esercizio finanziario settennale, così da rimodulare la struttura del bilancio e renderla adeguata alle contingenze economiche che, da qui a 3-4 anni, ci auguriamo possano iniziare a cambiare. Come Popolo della libertà, continuiamo a difendere l’idea di un’Europa dei popoli e non un’Europa dei burocrati. In tal senso, il bilancio europeo deve rafforzare il suo ruolo d’investimento e fare in modo che l’iter dibattimentale non si appiattisca sugli interessi dei singoli. Anche per questo, la proposta –per l’approvazione finale del bilancio – di passare dalla necessità dell’unanimità degli Stati membri ad una maggioranza qualificata, è un ulteriore segnale che vogliamo dare in questa direzione.


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