Questa prolungata fase di recessione economica ha messo a nudo tutti i nostri problemi irrisolti degli ultimi venti anni: dalla bassa crescita alla scarsa competitività, dal peso crescente del debito pubblico all’iniquità della pressione fiscale, dal problema energetico all’inefficienza della Pubblica amministrazione. La recessione è devastante sul piano sociale in termini di aumento della disoccupazione, soprattutto dei giovani e delle donne, di impoverimento dei redditi delle famiglie di lavoratori e pensionati, di messa in discussione dell’universalità del welfare. Le difficoltà di uscire da questa situazione sono accresciute da una profonda crisi morale che mina la tenuta della coesione sociale e delle istituzioni, dal venire meno di una classe dirigente in grado di legittimarsi agli occhi dei cittadini.
Ecco perché è necessaria una svolta, che può venire solo dalla partecipazione di quanti sono disposti nei prossimi mesi a condividere le responsabilità: governo, forze politiche, istituzioni locali, parti sociali. Occorre ripartire dalla concertazione, fissando gli obiettivi concreti da raggiungere e su cui ciascuno deve fare la propria parte.
Per risalire la china occorre ripartire dalle energie vitali che sono nella società, renderle partecipi della necessità di cambiare, che è già una spinta forte alla fiducia di poterci riuscire tutti assieme.
Mettere le fondamenta ad un nuovo modello di sviluppo vuol dire anche valorizzazione di tutte quelle forme interne di solidarietà, sussidiarietà senza le quali una economia di mercato non può pienamente esercitare la propria missione.
Abbiamo la grande responsabilità, e il dovere di intervenire, per favorire e aumentare l’occupazione, aiutare le famiglie più bisognose, rimettere in moto l’economia e sostenere la ripresa, attraverso misure di stimolo alla crescita, agli investimenti, italiani e stranieri, alla creazione di nuove imprese.
Sulla competitività l’Italia è al 42simo posto, dopo Polonia e Panama nell’annuale graduatoria stilata dal World economic forum. Paesi come la Francia hanno l’energia a basso costo, l’efficienza della Pubblica amministrazione e del sistema dei trasporti, il funzionamento della giustizia, gli incentivi fiscali. E noi cosa abbiamo?
Qualsiasi maggioranza politica e parlamentare che uscirà dalle urne, avrà bisogno del contributo responsabile delle parti sociali attraverso un “patto” forte sulle misure urgenti e indispensabili per rilanciare l’occupazione e il sistema produttivo del nostro Paese.
La priorità assoluta deve essere il lavoro, da declinare nelle tre direzioni: crescita, gestione delle crisi, giovani.
Occorre un programma straordinario di ricollocazione, con piena collaborazione tra centri pubblici per l’impiego e agenzie del lavoro, che punti a fare incontrare i lavoratori in cassa integrazione e mobilità con le richieste, seppur poche, di professionalità che le imprese hanno difficoltà a trovare, nonché alla rivalutazione di mestieri e professioni di cui c’è molta richiesta, a partire da quelle artigiane e nel campo dei servizi alle persone.
Per i giovani va valorizzato al massimo l’apprendistato nelle tre tipologie previste, come strumento per contrastare la precarietà e la disoccupazione, con la definizione di ulteriori politiche di incentivazione, ripristinando lo sgravio contributivo totale per le aziende con oltre 9 dipendenti.
Per coniugare il lavoro dei giovani con quello degli anziani, può essere introdotto lo strumento del part-time in uscita per i lavoratori anziani con la contestuale assunzione di giovani, salvaguardando i livelli di contribuzione.
Ma il problema più grosso rimane quello di alzare i salari e sostenere i consumi. Per questo la Cisl insiste: occorre una riforma fiscale organica e strutturale, da finanziare anche attraverso una più efficace azione di contrasto all’evasione e all’elusione fiscale, e riequilibrando la tassazione delle rendite finanziarie rispetto a quella sul lavoro. Si può ridurre al 20% la prima aliquota fiscale per lavoratori dipendenti e pensionati, potenziando le detrazioni sul lavoro dipendente, al livello delle quali vanno allineate quelle sui redditi da pensione.
Occorre rilanciare anche l’industria attraverso una forte concertazione fra governo centrale e Regioni. Noi proponiamo di sbloccare con un provvedimento straordinario o con commissari ad acta le opere pubbliche, i nuovi impianti energetici, la riconversione di quelli esistenti, le infrastrutture incagliate dai veti amministrativi. Questa è la strada per avviare politiche vere di attrazione d’investimenti dall’estero.
Inoltre si deve mettere in cantiere il ripristino del credito d’imposta automatico per le imprese che investono nel Mezzogiorno. Non è possibile andare avanti senza una riprogrammazione dei fondi strutturali per il sud orientandoli alle attività produttive e all’occupazione. Così come occorre rafforzare l’accesso al credito delle piccole e medie imprese.
La Cisl vuole fare anche una battaglia chiara sulla famiglia, sostenendo una contrattazione specifica per la conciliazione lavoro-famiglia anche con incentivi al part-time lungo sul modello olandese. Va inoltre favorita l’emersione del lavoro di cura tramite un adeguato innalzamento della detrazione fiscale relativa alle spese per l’assistenza personale.
E poi c’è il tema della riforma del Titolo quinto della Costituzione. Bisogna ridurre i livelli istituzionali ed amministrativi, aggredire la spesa pubblica improduttiva, rendere più efficiente la Pubblica amministrazione e le imprese pubbliche, anche legando una parte del salario dei dipendenti pubblici agli aumenti di produttività.
Questa è l’agenda delle riforme che la Cisl chiede al prossimo governo. Noi siamo interessati a che ci sia un rinnovamento politico, economico e sociale del nostro Paese. La priorità resta la promozione della crescita, sostenuta da misure forti di equità sociale.
Accanto a questo si pone l’esigenza di innalzare la qualità della classe dirigente del nostro Paese e promuoverne il ricambio qualitativo, generazionale e anche di genere. Sono obiettivi che riguardano tutti noi e che impegnano il nostro modo di fare sindacato, libero, autonomo da tutti gli schieramenti politici.